Data la mia incapacità di seguire progetti a lungo termine come la stesura di un romanzo mi sono dato definitivamente al racconto breve, ecco il primo di quella che spero sarà una lunga serie di storie.
(Ho effettuato un lavoro di revisione ma più o meno nello stesso stato in cui ero mentre lo scrivevo, cioè stanco e in stato di euforia "artistica" quindi perdonate eventuali errori e segnalatemeli)
Fuori dall' oscurità.
Era questo il mio unico obbiettivo.
Per quanto le ultime notti fossero passate tra sogni molto realistici, erano tuttavia abbastanza assurdi (in realtà fin troppo assurdi) da farmi intuire la loro irrealtà.
Tutto quello che mi stava succedendo invece era perfettamente realistico e reale.
Ero uscito quella sera per incontrare i miei amici e mi ero diretto al solito posto.
Non trovandoli ne li ne al telefono decisi di fare un giro da solo, per sbollire la rabbia e tutto il resto.
Vagai da solo come avevo fatto tante volte, per prendere aria e pensare, senza meta e con la testa piena di pensieri di ogni tipo.
Pensavo alla scuola, che non andava bene come doveva per colpa della mia inerzia, a questioni filosofiche affrontate quella mattina in classe e ai miei amici, davvero strano che non si fossero presentati, forse era uno scherzo.
Ubriaco delle mie riflessioni percorrevo le solite strade, le uniche in realtà dato che il paese non era poi così grande in confronto al tempo che avevo a disposizione.
Dopo mezz'ora alzai la testa e mi accorsi di essere arrivato al cimitero, soltanto i campi della Lute con la loro stradina solitaria mi aspettavano oltre quel punto.
Li mi passò accanto un uomo.
Non è esatto dire che mi passò accanto dato che, come forse avete già avuto occasione di notare, quando si passa in una strada deserta di notte e si incontra qualcuno di solito lo si scorge da lontano e si cerca di passargli il più lontano possibile, chissà poi perchè.
Quest' uomo dunque mi passò a qualche metro di distanza, lui e il suo vestito elegante e antiquato, lui e la scia del suo profumo di viole.
Vedendolo mi passò un brivido lungo tutta la schiena e l' ansia si avvinghiò al mio stomaco.
Questa sensazione terribile non era dovuta ad alcunchè di soprannaturale ma soltanto all' antichissima paura umana per gli incontri notturni e per il suo aspetto vittoriano e tremendamente fuori posto.
Non capivo da dove fosse realmente saltato fuori e non avevo nessuna intenzione di fare della strada insieme a lui e quindi, non ritenendo opportuno inoltrarmi nei campi di notte, mi fermai vicino al cimitero.
Ad un tratto il brivido si fece sempre più intenso ma, voltatomi di scatto, non vidi altro che un mulinello di vento sollevare le foglie gialle e rosse che ornavano il marciapiede.
Totalmente supefatto mi guardai attorno ma non vidi assolutamente nessun indizio di dove potesse essere quel signore che sembrava appena uscito da un romanzo gotico.
Il cimitero non era, e non lo è tutt' ora, nulla di spettacolare, proprio in Europa dove il medioevo si era adagiato con tutto il suo rude splendore mancavano quegli inquietanti e romantici particolari che caratterizzano, almeno nei film, la maggior parte dei cimiteri americani.
Un miagolio stridulo mi fece sussultare.
Erano soltanto i freni di un camion in lontananza ma con la coda dell' occhio scorsi delle ombre sgusciare fuori dal camposanto come fantasmi: tre gatti neri come la notte più nera, con occhi gialli e arancioni che balenavano nell' oscurità.
I gatti si fermarono improvvisamento e mi fissarono a lungo dandomi oltretutto un' idea di familiarità che non sapevo come spiegarmi.
Senza preavviso i tre presagi schizzarono rapidamente in direzioni diverse lasciandomi attonito e nuovamente solo.
Sulle prime non me ne ero accorto ma nella nebulosa oscurità di quel cimitero c'era qualcosa di inspiegabilmente morboso e sensuale che mi attirava sempre di più.
Per quanto appassionato lettore di Mary Shelley, Stoker e molti altri tenebrosi scrittori io sono sempre stato per definizione un fifone.
Oh si con l' adolescenza questa mia caratteristica si era abbondantemente affievolita limitandosi a qualche momento di panico in alcune situazioni ma io giuro che date le premesse io non sarei mai entrato in quel cimitero di mia volontà.
Tuttavia vi entrai.
Per questo io non so ancora se credere a ciò che vidi o se pensare che le mie percezioni, la mia coscienza e i miei ricordi siano stati manipolati da qualche imponderabile causa.
Attraversai i tristi cancelli metallici e mi ritrovai disorientato nell' oscurità e inebriato da un intenso profumo di viole.
Ora trovo strano non essermene accorto prima ma allora realizzai che non c' erano lumini accesi soltanto quando vidi tre piccole fiamme al centro del cimitero.
La luce della luna mi fece subito realizzare che quelle luci provenivano proprio dalle tombe di miei tre parenti, morti a distanza di anni e casualmente sepolti in fila, vicini nella morte come nella vita.
Come in un sogno tentai intorpidito di avvicinarmi a quella stranissima visione ma venni scosso presto da una risata agghiacciante.
Quale demone notturno, quale incubo infernale poteva produrre una simile espressione di empia e malvagia soddisfazione?
La risposta arrivò per mezzo di un ombra scura e imponente che attraversava a grande velocità il cimitero accerchiandomi.
La figura, che aveva poco di umano, sembrava scivolare sul terreno come se camminasse a tre centimetri dal suolo ma la scarsa luce che il cielo notturno proiettava sulle lapidi non mi concedeva che di percepirne la disumana grandezza e potenza riscuotendomi e convincendomi finalmente a pensare con lucidità.
Non ero ancora troppo lontano dall' uscita e così abbandonata per ovvi motivi l' idea di verificare cosa fosse successo alle tombe dei miei parenti, mi lanciai a gran velocità nel tentativo di raggiungere la strada.
Mentre correvo sentivo la cosa inseguirmi, i frusci indistinti, gli aliti di vento caldo e umido sul mio collo, i sussurri vaghi e le sue risate aliene.
Incespicando raggiunsi il varco e senza nemmeno voltarmi continuai la mia corsa folle verso casa.
Non sentivo più la sua presenza ma il terrore cieco che mi aveva investito continuava a sconvolgermi e a caricarmi di adrenalina e, arrivato sulla porta di casa, cercai di aprirla il più in fretta possibile, armeggiando nervosamente con le chiavi e sbattendo la porta mentre mi fiondavo all' interno.
Ero fuori dall' oscurità.