Capitolo III - Verso la guerra


Il giorno dopo, erano tutti in cammino sui nuovi cavalli. Erik Fendor aveva deciso di portare con sé come prigionieri i mercenari superstiti, compresi i due balestrieri feriti da Lewin, che giacevano di traverso sulla groppa degli ultimi due cavalli. Lewin non credeva che sarebbero sopravvissuti per molto: le ferite erano gravi, e i due avevano perso molto sangue. Anche il soldato ferito aveva dei problemi, ma le sue condizioni erano migliori; una volta arrivati alla prossima cittadina, Aden, lo avrebbero portato da un dottore.
Il viaggio verso Aden durò una settimana, durante la quale entrambi i mercenari feriti morirono senza mai riprendere conoscenza.
A Lewin, il viaggio offrì l'occasione per conversare con i suoi nuovi compagni di viaggio, dopo tanti anni di solitudine quasi totale; venne a sapere che Erik Fendor era il figlio di un duca, una persona importante della corte del re di Dremlund.
"Allora diventerete anche voi un duca, signore"- disse una volta Lewin, mentre si rilassavano vicino al fuoco dopo una giornata passata a cavallo.
"Non io, ma mio fratello maggiore. Io dovrò cercare il successo da solo, facendo carriera nell'esercito reale; è il destino dei figli cadetti " - risposte Fendor.
" Se combatterete così come vi ho visto fare, non credo che avrete molte difficoltà"- continuò Lewin.
" Non bisogna solo saper combattere, i miei soldati lo sanno fare bene. Il difficile è comandare, fare la scelta giusta al momento giusto: è questa la cosa che fa veramente la differenza tra la vittoria e la sconfitta, in battaglia" - disse in modo scherzoso il cavaliere, anche se un'ombra passò sul suo viso. Il giovane preferì cambiare argomento.

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Lewin non era mai stato ad Aden; era una cittadina leggermente più grande di Fringen, e costituiva l'avamposto più settentrionale del regno; a nord di Aden c'era solo il castello di Klaghen, dove i due eserciti si stavano scontrando. Il giovane sapeva che l'economia di Aden si basava sul commercio delle pellicce, sulla lavorazione del legno e sullo scambio dei prodotti delle fattorie che circondavano la città.
Quando entrarono nella via principale di Aden, comunque, Lewin ebbe subito l'impressione che le cose non stessero andando bene; l'atmosfera tradiva l'evidente preoccupazione che attanagliava i circa tremila abitanti della cittadina: i combattimenti si facevano sempre più vicini, e molti cominciavano a pensare che era arrivato il momento di abbandonare le case ed emigrare verso sud, lontano dalla guerra.
Erik Fendor si fermò nella piazza principale, davanti al municipio che era la sede dell'inviato del re, praticamente il governatore della città. Accanto al municipio, che era un solido edificio a due piani in legno, si trovava il locale posto di polizia, dove Fendor consegnò i mercenari sopravvissuti affinché fossero processati al più presto.
Il cavaliere si presentò quindi all'inviato del re, che lo informò sugli ultimi sviluppi: il grosso delle forze di invasione imperiali si stava avvicinando a Klaghen, e alcune pattuglie in avanguardia si erano addirittura infiltrate tra le forze di difesa, minacciando le fattorie intorno ad Aden.
Fendor decise di ripartire subito alla volta di Klaghen, e l'inviato del re lo informò che avrebbe potuto lasciare il soldato ferito nel piccolo ospedale di Aden, allestito nell'edificio di fronte al municipio.

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Un'ora dopo Erik, Lewin e l'altro soldato, di nome Felix, stavano pranzando in una delle taverne di Aden. "Perché tutta questa fretta di ripartire, signore, non potremmo aspettare domani mattina ?"- disse Lewin, addentando una gustosa costoletta di cinghiale.
"Devo raggiungere al più presto la guarnigione di Klaghen. Il comandante delle forze del re in questo settore, Lord Elmar, mi aspetta per assegnarmi il comando di un intero squadrone di cavalleria pesante. Non posso farlo attendere inutilmente"- rispose il cavaliere.
"Se ci fermassimo qui la notte, non credo che questo Lord Elmar lo verrebbe a sapere"- aggiunse Lewin, guardando una delle cameriere, una ragazza particolarmente carina, che puliva un tavolo vicino. Da quando era tornato "alla civiltà", cioè da qualche giorno, la vista delle ragazze lo sconvolgeva: si sentiva attratto da loro in maniera irresistibile, e si era accorto che quella era una locanda nella quale, a differenza del "Lupo Nero", c'erano delle ragazze con cui si potevano fare quelle cose incredibili che aveva sentito da ragazzo nei racconti dei cacciatori. Stava addirittura meditando di lasciare i due soldati e di rimanere da solo ad Aden, quando si accorse che anche Felix stava guardando le ragazze del locale con molto interesse.
Erik Fendor seguì lo sguardo dei suoi due compagni, e capitolò anche lui. In fondo, era un giovane di poco più di trenta anni, non era sposato e forse avrebbe dovuto attendere dei mesi prima di poter tornare nella tranquillità delle retrovie. " In effetti, un bel letto sarebbe piacevole, anche se dubito che qualcuno di noi abbia voglia di dormire, questa notte"- concluse Fendor, scambiando un'occhiata di intesa con gli altri due.

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Il giorno dopo, un innamorato Lewin Talamor stava cavalcando verso il castello di Klaghen. Dopo la prima notte di passione della sua vita, aveva promesso alla bella cameriera che sarebbe presto diventato un eroe di guerra e che sarebbe ritornato per sposarla. Il problema era adesso il seguente: come diventare un eroe di guerra?
"Cavaliere, una volta arrivato al castello, potrei arruolarmi nell'esercito del re ?"
"Certamente"- rispose Fendor -" ti tirò di più: ti terrei volentieri con me, ma penso che tu possa essere molto più utile nella compagnia degli esploratori, viste le tue notevoli qualità; il capitano degli esploratori è una mia vecchia conoscenza, e gli parlerò di te non appena arriveremo".
Felix, il soldato, scosse la testa: " Ripensaci Lewin, finchè sei in tempo".

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Klaghen distava dieci giorni di cammino da Aden. Procedendo verso nord, il paesaggio si fece più aspro ed il clima più freddo, nonostante la stagione primaverile fosse già incominciata da alcune settimane. Lungo la stretta pista che serpeggiava tra le colline boscose, i tre viaggiatori incontrarono alcuni drappelli provenienti dalla guarnigione del castello e diretti ad Aden: trasportavano principalmente feriti gravi all'ospedale della cittadina, soldati che non sarebbero stati in grado di combattere per molti mesi.
Lewin approfittò dell'occasione per imparare a cavalcare; in precedenza, era montato solo sul suo vecchio mulo: un vero cavallo era tutta un'altra cosa, ma i consigli esperti dei suoi compagni di viaggio ed una certa predisposizione naturale fecero sì che il giovane in pochi giorni fosse in grado di lanciare il cavallo al galoppo pieno, senza rischiare l'osso del collo.
I boschi che stavano attraversando erano pieni di piante in piena fioritura, e Lewin ne approfittò per raccogliere alcune erbe, foglie e fiori descritti nel vecchio libro che aveva comprato all'emporio di Fringen. In particolare, riuscì a mescolare i due infusi secondo la formula mortale descritta dal vecchio abate Crow, ottenendo, così almeno sperava, un veleno di incredibile efficacia.
Nei giorni successivi, ebbe l'occasione di sperimentare le sue nuove frecce avvelenate su alcuni animali; nel caso di un grosso cervo maschio, il giovane colpì volontariamente una zampa, senza ferire l'animale in modo grave, ma il cervo stramazzò al suolo nel giro di pochi istanti, stecchito.
Felix si avvicinò alla carcassa per tagliarne un pezzo e cucinarlo per cena, ma il cavaliere Fendor, con aria dubbiosa, lo fermò: "E se il veleno rimane nel sangue ?". Improvvisamente a tutti passò il desiderio di mangiare carne di cervo.

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"Ormai dovremmo essere vicini al castello" - disse Felix, la mattina del decimo giorno di viaggio.
"Fermi, cavalieri! Non un solo gesto o siete morti! Dite chi siete e dove siete diretti" - gridò una voce dall'alto di una rupe che sovrastava lo stretto sentiero.
Un soldato dell'esercito reale comparve sopra la rupe, disarmato, ma Lewin era sicuro di essere sotto tiro: nascoste tra la vegetazione, dovevano trovarsi sicuramente altre sentinelle. Aguzzando la vista, riuscì a scorgerne una, sdraiata dietro un cespuglio con una grossa balestra in posizione di tiro.
" Non riconosci lo stemma del re, soldato ? " - rispose Felix, indicando il simbolo impresso sulla sua corazza.
" Non é difficile rubare una corazza ad un cadavere; potreste essere delle spie travestite: fate vedere i vostri ordini scritti" - continuò la sentinella, avvicinandosi. Quando vide le insegne di Cavaliere Comandante sulle spalle di Erik Fendor, si irrigidì e salutò formalmente: " Mi scuso, Comandante, ma ci hanno comunicato la presenza di spie intorno al castello. Abbiamo ricevuto ordini precisi " - si giustificò il soldato.
" Capisco perfettamente, soldato " - replicò Fendor, porgendogli una pergamena. Dopo aver controllato il sigillo di ceralacca alla fine della lettera, la sentinella salutò nuovamente: " Potete proseguire, Comandante. Il castello é a meno di tre ore di strada da qui ".
Appena ripartiti, Lewin espresse i suoi dubbi: "Se fossimo stati veramente delle spie, anche il plico degli ordini poteva essere stato rubato a qualcuno ".
"Impari velocemente, cacciatore. Benvenuto nel mondo della guerra " - fu la risposta di Fendor.

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Il castello di Klaghen si trovava in un'ottima posizione; i Monti Uroni, che costituivano il massiccio montuoso centrale delle Terre Conosciute, si assottigliavano verso nord-ovest in una stretta catena di montagne, la quale si congiungeva poi con i picchi impervi ed in gran parte inesplorati dei Monti Imani, la lunghissima catena montuosa che costituiva il confine settentrionale delle Terre Conosciute e che nessuno era mai riuscito a superare. La regione a nord dei Monti Imani non era mai stata vista da nessuno, e racconti di cose incredibili e meravigliose si tessevano su questa misteriosa terra.
Nel punto in cui le propaggini nord-occidentali dei Monti Uroni confluivano nella grande catena dei Monti Imani, una stretta e lunga valle faceva da confine tra le due catene montuose. Quella valle si trovava anche in corrispondenza del confine tra il regno di Dremlund e l'impero di Argan, in quanto le terre a nord della valle appartenevano all'impero, mentre la regione a sud della strettoia tra le montagne faceva parte del regno di Dremlund.
Proprio in corrispondenza dell'imbocco meridionale della valle, il castello di Klaghen sbarrava la strada a chiunque provenisse da nord; la posizione era ottima dal punto di vista difensivo, ma gli strateghi imperiali avevano deciso di passare proprio da quella parte, aggirando i Monti Uroni ed aprendo un secondo fronte nella parte occidentale delle Terre Conosciute. Sul fronte principale infatti, quello delle pianure orientali, nessuno dei due eserciti, dopo lunghi anni di aspri combattimenti, era riuscito a conseguire risultati apprezzabili.
Come Lewin era venuto a sapere, l'imperatore Oswald era riuscito a trasferire in gran segreto una grossa parte del suo imponente esercito a nord-ovest dei Monti Uroni, ed ora circa trentamila soldati imperiali incombevano sulle regioni nord-occidentali del regno di Dremlund.
Contro queste forze in avvicinamento la guarnigione di Klaghen, seppur rinforzata in tutta fretta, poteva opporre attualmente non più di duemilacinquecento uomini: troppo pochi per sbarrare il passo con successo all'esercito invasore.
La situazione prospettava sviluppi strategici molto preoccupanti: una volta superata la strettoia tra le montagne, le forze imperiali potevano dilagare nelle zone pianeggianti e collinari intorno ed a sud di Fringen, ed avrebbero potuto addirittura prendere alle spalle il grosso dell'esercito di Dremlund, ancora schierato a difesa del confine orientale, raggiungendo le sue retrovie nella regione a sud dei Monti Uroni.
Numericamente, l'esercito reale era inferiore alle armate imperiali, e distogliendo delle truppe dal fronte orientale, le difese di Dremlund sarebbero rimaste schiacciate da una mortale manovra a tenaglia diretta verso la capitale del regno, la città di Esperia.
Questi erano i pensieri in cui era assorto Lewin Talamor quando, superata l'ultima curva della pista tra gli alberi di latifoglie, giunse in vista del castello di Klaghen: la vallata tra le alte montagne, dalle cime perennemente innevate, era attraversata in tutta la sua lunghezza da un profondo torrente, reso impetuoso dallo scioglimento della neve accumulatasi nel periodo invernale. Su una sponda del torrente, quasi al centro della valle, sorgeva il castello, e tutte le zone circostanti erano state disboscate per agevolare il controllo della zona. In quel modo, ampi prati congiungevano i pendii ripidi delle montagne, venendo a costituire un terreno ideale per le cariche di cavalleria e per il tiro delle balestre e delle catapulte dagli spalti del castello.
La roccaforte era una possente costruzione realizzata con pesanti blocchi di pietra, a pianta ottagonale. In corrispondenza di ogni vertice dell'ottagono era stata innalzata una torre alta almeno quindici braccia, in grado di fornire appoggio alle torri vicine. Il torrente riempiva ed alimentava un fossato che correva tutto intorno al castello, ed era superabile solo tramite un ponte levatoio, abbassato in quel momento davanti ad un pesante portone in legno con robusti rinforzi in ferro. Era la costruzione più grossa che Lewin avesse mai visto, grande come un villaggio di medie dimensioni, e dominava l'intera vallata; dai suoi numerosi camini uscivano colonne di fumo che si innalzavano nell'aria limpida sopra le torri merlate, e le mura massicce emanavano un senso di sicurezza e di potenza: il giovane si augurò che la sensazione corrispondesse effettivamente alla realtà, in battaglia.
Poco dopo, i tre cavalieri passarono sopra il ponte levatoio e le guardie aprirono il pesante portone, ammettendoli in un ampio cortile interno del castello. Scendendo da cavallo, Erik Fendor si rivolse a Lewin: "Ti farò accompagnare dal Mastro magazziniere del castello, che ti darà l'equipaggiamento militare.
Poi, sarai assegnato alla compagnia degli esploratori, se vuoi ancora diventare un eroe di guerra" - disse sorridendo il cavaliere, sparendo all'interno del castello alla ricerca di Lord Elmar, il comandante dell'intera guarnigione.

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Nel tardo pomeriggio, uno spaesato Lewin Talamor si trovava di fronte al sergente istruttore della compagnia esploratori. Il sergente era in piedi dietro un tavolo consunto, con le mani sui fianchi e le gambe larghe; doveva essere alto almeno due metri, e forse altrettanto largo di spalle. Lewin lo vedeva più adatto per un reparto di fanteria, ma il soldato che lo aveva accompagnato gli aveva detto che il sergente Muster era una leggenda, lì al castello: era capace di ricaricare una balestra flettendo l'arco metallico con la sola forza delle braccia, senza utilizzare l'argano, e si orientava nei boschi meglio di un animale selvatico.
"E così tu saresti bravo con la balestra e con l'arco... è quel che vedremo presto " - disse con aria poco convinta.
Lewin non riusciva a decidere se l'uomo gli ispirava antipatia o rispetto, e decise che gli ispirava entrambi.
Il discorso del sergente fu breve: gli illustrò rapidamente tutte le cose che era libero di fare nell'esercito (quasi nessuna) e tutto ciò che non poteva fare (quasi tutto): in particolare, era assolutamente vietato farsi ammazzare. Lewin si dichiarò daccordo.
Infine, il giovane fu informato che il comandante della compagnia degli esploratori, il capitano Mogredien, era fuori in ricognizione e non sarebbe tornato prima di una settimana. La guarnigione contava un totale di duemilacinquecento combattenti, più il personale di supporto: cuochi, panettieri, stallieri e così via. Vi erano quattro squadroni di cavalleria pesante, di trecento cavalieri ciascuno, due falangi di fanteria, di trecentocinquanta fanti ciascuna, due compagnie di balestrieri, di duecentocinquanta uomini l'una, ed infine la compagnia degli esploratori, che contava appena un centinaio di scout. La compagnia, comunque, non sarebbe mai entrata in combattimento tutta insieme. Gli scout operavano in piccoli gruppi di dieci-dodici elementi, autonomi o in rinforzo ad uno squadrone di cavalleria.
L'addestramento individuale di un esploratore era importantissimo, e Lewin avrebbe dovuto impegnarsi molto per imparare in fretta: il tempo era poco ed il giovane si sarebbe presto trovato in combattimento.
Terminato il discorso, il sergente lo lasciò libero di sistemare la sua roba nel posto che gli era stato assegnato nel grande dormitorio comune, e Lewin, fatto ciò, si recò nel refettorio dove gli esploratori consumavano la cena.
Dopo il tramonto, i soldati avevano solitamente un'ora e mezza di tempo a loro disposizione, prima che i trombettieri del castello suonassero il segnale che obbligava tutti ad andare a dormire.
Lewin, non sapendo cosa fare, andò in cerca di Felix, e lo trovò in una delle piccole osterie, allestite all'interno del castello per tenere alto, nei limiti del possibile, il morale dei soldati.
I due amici si avvicinarono al bancone dell'osteria, per ordinare un boccale di birra scura.
" Dove ti hanno assegnato, Felix ? " - chiese Lewin.
" Lord Elmar ha dato a Fendor il comando del secondo squadrone di cavalleria, e il buon Erik mi ha tenuto con sé " - rispose Felix, dopo una bella sorsata di birra fresca.
" Guarda guarda, un nuovo esploratore " - disse un uomo seduto ad un tavolo vicino, guardando l'uniforme verde di Lewin. L'uomo portava la stessa uniforme.
" Adesso arruolano anche i bambini " - continuò ironicamente, dando una gomitata al suo compagno, un altro scout. " Come minimo dovrebbe offrire da bere a due veterani come noi " .
" Lasciami in pace, è meglio per te " - rispose freddo Lewin. "
Sentilo. Non solo non paga, ma si permette anche di rispondere " - replicò minaccioso l'uomo, alzandosi dalla panca.
" Lascia perdere, Gomes, è solo un ragazzo " - disse il suo amico, ma l'esploratore non gli diede ascolto.
L'uomo aveva il torace grosso quanto un barile, e si avvicinò a grandi passi.
Lewin arretrò, mentre Felix tentò di mettersi in mezzo; fu un errore: il grosso esploratore spinse violentemente il cavaliere, mandandolo a sbattere contro Lewin.
" Adesso ti insegno io come ci si comporta con un veterano " - gridò l'uomo, sferrando, con una rapidità inaspettata, un pugno verso il volto di Lewin. Dopo la spinta di Felix, il giovane era ancora sbilanciato e, anche abbassandosi, non riuscì ad evitare completamente il colpo: il pugno lo colpì allo zigomo e lo mandò a sbattere contro una parete.
Lewin, comunque, era abituato a sopportare il dolore: il suo cervello reagì fulmineamente, e le sue mani andarono a cercare due coltelli nascosti dietro la schiena, sotto la grossa cintura. Li lanciò contemporaneamente verso l'aggressore, con entrambe le mani: l'uomo si fermò, e un'espressione di stupore si disegnò sul suo viso. Si portò le mani alle orecchie, e quando le guardò si accorse che erano piene di sangue: i coltelli avevano aperto due profondi tagli su entrambe le orecchie.
Sfilando un terzo coltello dalla cintura, Lewin disse con cattiveria: " Il prossimo te lo pianto in mezzo agli occhi, bastardo! ".
Il rumore di un pugno battuto violentemente sul tavolo lo fece voltare. " Adesso basta, Talamor! Metti via quel coltello! " - la voce profonda del sergente Muster risuonò nell'osteria. " Non voglio risse tra i miei uomini " - disse avvicinandosi. Lewin abbassò il coltello e lo infilò di nuovo nella cintura.
" Mi ha risposto male, sergente... " - balbettò l'uomo chiamato Gomes, tenendosi le mani sulle orecchie. Muster si voltò verso di lui e lo colpì in pieno viso con il dorso della mano, facendolo roteare su sé stesso e mandandolo a sbattere contro il bancone.
" Ho visto tutto quello che è successo. Vai a prendere la tua roba e vattene, Gomes. Non ti mando davanti alla corte marziale perché voglio lavare i panni sporchi in famiglia, ma da questo momento non fai più parte dell'esercito reale. Non ho bisogno di uomini come te: domani dovrai lasciare il castello ".
" E in quanto a te, Talamor, sei appena arrivato e già mi crei problemi. D'ora in poi, userai una qualsiasi arma solo dopo che io ti avrò autorizzato. Sono stato chiaro ?".
Mentre diceva quelle parole, Muster sembrava veramente imponente.
" È stato lui a cominciare " - si difese il giovane.
" Stai zitto!... e seguimi! " - gridò il sergente, dirigendosi verso l'uscita. Lewin lo seguì silenzioso.
" Sei convinto di aver fatto la cosa giusta ? " - disse Muster, quando furono soli nella strada buia; la sua irritazione traspariva dal tono della voce.
" Sergente, io..."
" Te lo dico io che cosa hai ottenuto, Talamor " - lo interruppe Muster - " Se tu gli avessi offerto da bere, ora avresti un nemico in meno. D'ora in poi, sarà meglio che ti guardi le spalle: Gomes potrebbe aver voglia di vendicarsi. Ho visto tanti ragazzi pagare con la propria pelle il loro dannato orgoglio e tu, Talamor, mi sembri proprio uno di quelli.
Inoltre, con un'orda di nemici assatanati che si avvicina, mi trovo anche con un esploratore in meno, perché ho dovuto scegliere tra te e lui! Gomes, nonostante avesse poco cervello, era un valido combattente, ma non c'era più spazio per tutti e due nel mio reparto. In guerra, ognuno deve potersi fidare ciecamente di un compagno, e non lo può fare se gli ha tagliato le orecchie! Tutto questo valeva una dannata birra, idiota ? ".
" No, sergente..." - rispose confuso Lewin. Non era abituato a vedere le cose da quel punto di vista, ma cominciava a capire il discorso di Muster, ed ammirava il suo attaccamento al reparto degli esploratori.
"Adesso vai a dormire. Ne hai combinate abbastanza per questa sera "- concluse, voltandosi per andar via. "
Posso farvi una domanda, sergente ? " - lo fermò Lewin.
" Che cosa c'è ancora ? " - sospirò Muster.
" Perché avete scelto me ? " - chiese a bruciapelo il giovane.
Il sergente sembrò esitare, poi stranamente sorrise divertito: " Non dovrei dirtelo, ma mi ricordi me stesso quando ero giovane, e sei anche bravo con i coltelli. Adesso sparisci, Talamor ".
Lewin si accorse di provare, suo malgrado, un profondo rispetto per l'uomo che aveva di fronte.

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L'indomani mattina, un'ora dopo il sorgere del sole, Lewin stava abbeverando il cavallo ad un piccolo ruscello che affluiva nel torrente principale della valle, ad un paio di miglia dal castello. Quella mattina, era stato inserito in un drappello composto da dieci esploratori, il cui caposquadra gli aveva assegnato un nuovo cavallo e gli aveva lasciato un paio d'ore di libertà per prendere confidenza con l'animale.
Più tardi nella mattinata, il giovane si sarebbe dovuto unire al resto del drappello, per esercitarsi insieme ai suoi nuovi compagni; Lewin aveva lanciato il cavallo al galoppo sugli ampi prati, e poi si era addentrato nei boschi per imparare a condurre l'animale nel fitto del sottobosco, tra gli alti cespugli e i tronchi degli alberi secolari.
Il nuovo cavallo era più magro e aveva le zampe più lunghe di quello che lo aveva portato a Fringen e, pur non intendendosi molto di cavalli, Lewin riteneva che fosse più resistente e più veloce: proprio le qualità necessarie al cavallo di uno scout. Dopo la lunga cavalcata, il giovane premiò l'animale dandogli un po' di carote fresche, e lo fece abbeverare; guardando l'altezza del sole sull'orizzonte, ritenne di avere ancora un'ora a disposizione prima di doversi ripresentare al castello.

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Gomes raggiunse la posizione che si era scelto e si sistemò tra i cespugli. Si riteneva fortunato: aveva atteso, nascosto fuori dal castello, l'uscita dei reparti in addestramento, ed era rimasto felicemente sorpreso di avvistare Lewin Talamor che cavalcava da solo; questo facilitava molto le cose.
Lo aveva seguito a distanza, con il berretto calato sugli occhi e confondendosi con tutti gli altri cavalieri che attraversavano i dintorni del castello; quando il suo nemico si era addentrato nel bosco, lo aveva perduto di vista per alcuni minuti, ma seguendo il corso di un piccolo ruscello lo aveva improvvisamente ritrovato, a circa duecento passi di distanza, mentre faceva dissetare il cavallo.
Gomes legò in silenzio il suo animale e si avvicinò furtivamente a piedi; giunto a distanza di tiro, scostò i cespugli e puntò la balestra: erano gli ultimi istanti di vita di Lewin Talamor, e Gomes si preparò a gustare il piacere della vendetta.
Uno strano rumore, alle sue spalle, lo fece voltare insospettito: quello che vide, gli fece gelare il sangue nelle vene.
Il lupo più grosso che avesse mai visto, grande quasi quanto un orso, lo stava fissando a poco più di un passo di distanza; Gomes non aveva idea di come il lupo si fosse potuto avvicinare senza farsi sentire, e il terrore ebbe il sopravvento su di lui: lasciò cadere la balestra e si voltò per fuggire.
Non aveva fatto neanche un passo che le enormi mascelle del lupo si chiusero sulla sua testa, schiacciandola in una morsa e frantumandogli il cranio.
Il lupo riaprì quindi la bocca e il corpo senza vita dell'esploratore scivolò al suolo, in un piccolo lago di sangue. La belva alzò poi lo sguardo al di sopra dei cespugli, concentrandosi su Lewin Talamor: gli occhi del lupo divennero di un rosso incandescente, e dopo pochi secondi la grande belva si voltò e sparì nel bosco.

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Lewin si sentì strano. Era come se qualcuno gli stesse parlando, anche se non riusciva a capirne le parole; le sue orecchie, però, non udivano alcun suono, al di fuori dello scorrere dell'acqua del ruscello. Le parole risuonavano direttamente nella sua mente, in una strana lingua antica.
La sensazione durò per alcuni secondi, dopo di che sparì. Il giovane si guardò intorno, ma non vide nulla che potesse spiegare quello che aveva sentito.
Dopo un po', si rimise in cammino in direzione del castello. Improvvisamente, nel folto del bosco, risuonò, intenso ed inquietante, l'ululato di un lupo.

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