Capitolo X - Verso l'ignoto

Tre giorni dopo, i due compagni di viaggio non erano altro che dei minuscoli puntini neri sperduti in una enorme distesa bianca sotto il cielo del blu più intenso che Alina avesse mai visto.
Faceva freddo, molto freddo. Alina, come e più di ogni Paladino, aveva da tempo sviluppato straordinarie qualità di resistenza ai rigori del freddo, ma nonostante ciò procedere sul ghiaccio sotto un vento affilato come la lama della sua scure la costringeva a fare appello a tutte le sue notevoli risorse. Un guerriero normale sarebbe già rimasto congelato, ma lei era ancora in grado di proseguire a lungo.
Ciò che la preoccupava, in realtà, era il fatto che il ghiacciaio continuava a salire a perdita d'occhio. Erano ancora molto lontani dallo spartiacque con l'altro versante, quello settentrionale. Ancora diversi altri giorni di cammino, con la prospettiva di un freddo sempre più temibile ed il timore che il cielo blu potesse prima o poi cedere il posto ad una tormenta di neve. Alina non si faceva illusioni: una tormenta, a quelle quote, l'avrebbe uccisa.
Pochi passi davanti a lei, Lewin procedeva con passo regolare e spedito, quanto gli consentivano le leggere racchette da neve in legno. Con il corpo stretto nel pesante mantello di pelliccia ed il capo nascosto nel cappuccio, il Mago trainava con delle cinghie la piccola slitta che trasportava i loro pochi bagagli e le provviste strettamente indispensabili.
Ogni conversazione era ormai da tempo terminata, ed al calar del sole di ogni giorno di cammino i due si rintanavano silenziosi in profonde buche scavate nella neve, avvolti completamente nei loro indumenti di pelliccia per non disperdere neanche un minimo del calore dei corpi.
Nonostante ciò, riprendere la marcia all'alba di ogni giorno era una tortura che avrebbe sconfitto pressochè ogni altro essere umano. In questo, l'impossibilità di consumare pasti caldi ed il dover dipendere dalla carne secca e salata era un ulteriore elemento di difficoltà che si aggiungeva a tanti altri.
Immerso nei propri pensieri, Lewin era irritato. Usando i suoi poteri magici, avrebbe potuto facilmente allontanare dal proprio corpo ogni sensazione di freddo, ma qualcosa lo stava trattenendo. Avvertiva la concentrazione e gli sforzi della sua compagna di viaggio per continuare ad andare avanti e, assurdamente, evitare di condividere gli stessi disagi della donna gli sembrava quasi un modo di barare al gioco.
Solo che, in quella specie di inutile gara di resistenza che si era venuta a creare, lui stava resistendo al freddo solo grazie a quelle capacità di sopportazione che aveva ampiamente sviluppato in gioventù. Tutto ciò era molto stupido, si ripeteva, ma nonostante ciò continuava ad evitare di utilizzare quei poteri mentali di cui Alina era sprovvista.


*      *      *

Il disastro avvenne due giorni dopo. Si erano rimessi in cammino all'alba, come di consueto, ma questa volta con il morale leggermente più sollevato poiché in lontananza cominciava ad intravedersi la linea di cresta che segnava l'inizio della prossima discesa sul versante settentrionale, verso quote più basse e meno gelide.
Il freddo però era intensissimo: Alina sentiva che i piedi, le mani, il naso e le guance cominciavano a congelarsi. La scure da battaglia, l'unico pezzo dell'armatura da Paladino che non aveva depositato sulla slitta, le pesava sulla spalla destra come un macigno. Nonostante ciò continuava a mettere un piede davanti all'altro, con gli occhi fissi sulla linea di cresta ormai in vista.
Fu in quel momento che il tempo cominciò a cambiare: il vento, fino a quel momento tagliente ma non troppo violento, si fece sibilante e sempre più potente, costringendoli a piegarsi in avanti per poter procedere. Nel contempo, il blu del cielo e l'abbagliante splendore del sole, dal quale si proteggevano gli occhi guardando solamente tramite delle fessure nei cappucci, vennero pian piano oscurati da minacciose nuvole nere.
In pochi minuti, prima sottile, poi sempre più pesante, la neve cominciò a cadere. Cadere non era il termine esatto: il vento accelerava i grossi fiocchi a velocità incredibile, spazzando la superficie del ghiacciaio e frustando le due misere figure che arrancavano ormai pressochè sempre nello stesso punto.
Anche Lewin era ormai al limite: entro pochi minuti sarebbe crollato, ed anche se si fosse fermato, non avrebbe potuto resistere al freddo che per pochi istanti.
Il Mago maledisse per l'ennesima volta il suo stupido orgoglio.
Si sentì toccare ad una spalla: dietro di lui, Alina lasciò cadere sul ghiaccio la scure, si abbandonò in ginocchio e cercò di gridare al di sopra del sibilo del vento: "Sto per svenire, Lewin …".
Il Mago non indugiò oltre: si concentrò e liberò i suoi poteri.
Davanti a loro, il ghiaccio esplose liberando una profonda buca, o meglio una specie di caverna riparata dal vento nella quale i due si ripararono immediatamente. Il Mago, poi, inviò il suo messaggio mentale: pochi istanti dopo, Alina vide all'ingresso della buca profilarsi un'ombra nera, enorme, sferzata dal vento. L'ombra si insinuò nella buca, quasi troppo stretta per la sua enorme mole, coprendo poi i due con la propria pelliccia nera spessa il doppio di quella di un orso.
Prima che voltasse il suo enorme muso dall'altra parte, Alina riconobbe gli occhi fiammeggianti della creatura: la donna si rese conto di essere accovacciata sotto il corpo di un Demone, il Demone che aveva protetto Lewin nel combattimento in Esperia.
Il Lupo.
Alina sentì anche le braccia di Lewin che la avvolgevano ed un calore innaturale sprigionarsi dal corpo del Lupo e dalle braccia del Mago.
Sentì i poteri mentali di Lewin esplorare il suo corpo alla ricerca delle parti congelate ed il tocco delicato del Mago che infondeva in esse nuova energia.
Per la prima volta dopo diversi giorni, Alina potè finalmente abbandonare lo stato di concentrazione estrema che gli aveva permesso di resistere fino a quel limite, e lasciò riposare la mente esausta quanto il corpo.
Pochi istanti dopo, Lewin la fece scivolare in un sonno profondo.

*      *      *

La tempesta durò ben trentacinque ore, ma Alina non se ne accorse. Quando si risvegliò, si rese conto che un sole abbagliante risplendeva sul ghiaccio. Il Demone era sparito, ma all'ingresso della buca si trovava, chissà come, il corpo di uno stambecco con la gola squarciata da quelle che dovevano essere state delle zanne enormi. Nell'altro angolo della buca, Lewin stava scaldando dell'acqua in una piccola pentola; solamente che, sotto la pentola, la fiamma bruciava direttamente dal ghiaccio: evidentemente, si trattava di un fuoco di origine magica, derivante dai poteri del Mago.
Scaldata l'acqua, Lewin vi versò dentro alcune foglie da un piccolo sacchetto, per farne un infuso, e ne porse una tazza ad Alina: era la prima bevanda calda che i due bevevano dopo molti giorni, durante i quali avevano bevuto solamente acqua ricavata mettendo del ghiaccio in piccole fiasche, tenute poi sotto il mantello per farle sciogliere.
Alina assaporò il gusto forte di quella specie di tè, il quale possedeva notevoli qualità ristoratrici; Lewin, nel frattempo, uscì dalla buca, tagliò grossi pezzi dalle carni dello stambecco e le mise ad arrostire su di un altro fuoco scoppiettante, anch'esso di origine puramente magica. Pochi minuti dopo, nell'aria sempre gelida ma un po' meno tagliente, i due si rifocillarono con grossi pezzi di carne arrosto.
Fino a quel momento, nessuno dei due aveva detto una parola: fu Alina a rompere il silenzio: "Ti devo la vita per la seconda volta, Mago. Ho scoperto finalmente quali sono i limiti della mia resistenza".
"Non sono molto diversi dai miei, Alina. Mi ero ostinato a non usare la magia, per vedere chi tra noi due fosse il più duro, ma stavo per crollare anch'io. Devo riconoscere che la gara è finita pressochè in parità".
"Mi trovo in debito anche con il tuo Demone. Mi ha riscaldato e presumo che sia stato lui a procurarci il pranzo. Non riesco a crederci: fino a qualche giorno fa, se lo avessi incontrato avrei tentato di ucciderlo, ed invece è stato lui a salvare me. Non mi ero neanche accorta che ci stesse seguendo".
"In realtà, ci stava precedendo. Quando ci siamo fermati, l'ho raggiunto mentalmente e gli ho chiesto di tornare indietro ad aiutarci. Poi questa mattina è uscito, ed è ritornato con questa preda. Non ho la più pallida idea di come abbia fatto a procurarci il cibo: pensavo che queste zone fossero completamente prive di qualsiasi forma di vita".
"Io ero convinta che neanche un Demone potesse resistere a condizioni così estreme".
"No, i Demoni sono esseri antichissimi, molto più in sintonia con la natura più selvaggia di quanto noi umani potremmo mai essere. Il Lupo, poi, è tornato vivo da luoghi in cui nessun essere umano potrebbe mettere piede, e che farebbero sembrare questo ghiacciaio accogliente come un tranquillo bosco di betulle".
Alina terminò di mangiare, sospirò e fissò il Mago dritto negli occhi: "Mi secca ammetterlo, Lewin, ma devo dire che sono contenta di averti incontrato, e di aver avuto l'occasione di avventurarmi in questa impresa. Qualunque sia il mio destino, sto imparando molte cose, sul mondo e su me stessa".
Lewin alzò un sopracciglio: Alina sembrava diversa, una piccola crepa si era aperta nella corazza psicologica che la donna aveva eretto intorno a sé. Guardandola alzarsi, però, si accorse che altrettanto rapidamente di come si era aperta, la crepa si stava richiudendo. Alina rialzò la fronte e le spalle, si risistemò i pesanti abiti e l'equipaggiamento, riacquistò un'espressione impenetrabile ed afferrò le cinghie della piccola slitta.
"Abbiamo ancora diverse ore di luce, Lewin. Se ci mettiamo in movimento ora, potremo forse arrivare sulla linea di cresta prima che faccia buio. Tocca a me tirare la slitta: negli ultimi giorni te ne sei occupato sempre tu".
Lewin schioccò le dita, spegnendo il fuoco magico, raccolse le sue cose e seguì la donna che si era già incamminata sul ghiacciaio.

*      *      *

Le torri della nera fortezza sperduta tra le gole dei Monti Imani erano sferzate dalla pioggia di una violenta tempesta. Nonostante ciò la finestra dell'ultima cella della torre a nord era spalancata, e violenti scrosci d'acqua bagnavano le pietre delle sue pareti interne.
La forza della natura, comunque, non attirava più di tanto l'attenzione del Druido, o dell'uomo che un tempo era stato un Druido.
Con la mente completamente immersa in un'altra dimensione, l'uomo portò a termine l'incantesimo: sul tavolo davanti a lui aveva appena creato un'altra Gemma del Potere, un altro cristallo che, incastonato nella gola di un Demone Superiore, gli avrebbe assicurato il completo controllo mentale sulla creatura.
I suoi servitori avevano ritrovato una nuova tomba di pietra, e presto l'uomo avrebbe risvegliato l'Ombra Alata in essa da secoli addormentata, per poi farne un suo schiavo con il cristallo che aveva appena prodotto.
Il suo piccolo esercito di Demoni stava crescendo secondo i piani, ed il Mago aveva tutte le ragioni per sentirsi soddisfatto.
Nonostante tutto però, un piccolo campanello d'allarme continuava a risuonargli nella mente. Qualche giorno prima, la sua vasta rete di spie ed informatori gli aveva fatto sapere che una delle pattuglie di Guardie Imperiali inviate in territorio nemico era sparita senza lasciare tracce.
Ciò era molto strano: le pattuglie, inviate per raccogliere ogni possibile informazione sui movimenti del Re Pallador, del Druido Talamor o del suo eterno nemico Dinak, avevano ordini precisi.
In caso di qualsiasi contatto, anche con semplici reparti dell'Esercito Reale, un membro della pattuglia doveva distaccarsi immediatamente per riferire dell'incontro. Sull'esito e sul significato del contatto, il capo pattuglia avrebbe poi dovuto riferire ad un preciso informatore imperiale, e quindi attraverso la fitta rete di spie ogni notizia sarebbe giunta in pochi giorni fino a lui.
Quella pattuglia però, dislocata nel settore meridionale dei Monti Uroni, aveva mancato ogni appuntamento con gli informatori, e nessuno dei suoi uomini aveva precedentemente riportato alcun contatto.
Come se fosse svanita nel nulla.
Come se fosse stata sterminata.
Ciò portava ad un interrogativo: chi era in grado di sterminare completamente una pattuglia di dieci guerrieri perfettamente addestrati ed equipaggiati, compreso il messaggero che sicuramente si sarebbe allontanato nei boschi al momento del contatto ?
Non di certo una pattuglia reale, e neanche uno squadrone di cavalleria.
La risposta poteva essere: Talamor, o Dinak.
Che ci faceva uno dei due, o entrambi, sui Monti Uroni, così vicino alle terre dell'Impero ?
Possibile che uno dei due, o entrambi, stessero cercando di attraversare il confine ?
Possibile che fossero già sulle sue tracce ? E sulla base di quali informazioni ?
Il Mago sapeva che prima o poi sarebbero arrivati ad uno scontro diretto, ma non voleva correre alcun rischio. Voleva essere preparato, voleva che lui ed il suo esercito di Ombre Alate non avessero alcuna difficoltà a schiacciare miseramente il suo vecchio ed il suo nuovo nemico.
Ma aveva ancora bisogno di tempo, mentre sembrava che i suoi nemici si stessero già muovendo con velocità preoccupante.

*      *      *

Una settimana dopo, Lewin Talamor e Alina Therin stavano discendendo le profonde vallate che si aprivano nel versante settentrionale della catena dei Monti Uroni. Si trovavano ormai abbondantemente all'interno delle terre dell'Impero anche se, come nel versante meridionale, la regione era pressochè disabitata a causa dell'asprezza dell'ambiente naturale.
Costretti a muoversi a piedi, non riuscivano a percorrere più di una quindicina di miglia al giorno: per raggiungere la loro destinazione, avevano assoluto bisogno di un mezzo di trasporto più veloce.
Mentre davanti a loro il paesaggio mutava gradualmente dalla desolazione dei ghiacciai all'asprezza delle spoglie praterie di alta montagna fino alla rassicurante copertura dei primi boschi di conifere, fu Alina a sollevare il problema della loro rapidità di movimento.
"Appena ci imbatteremo in un villaggio o in una fattoria, dovremmo comprare o rubare dei cavalli. Le pianure centrali dell'Impero non presentano grandi zone boscose: penso che la nostra sicurezza nell'attraversarle dipenderà dalla nostra velocità di movimento, ed a piedi non possiamo sperare di passare inosservati o di scappare da eventuali inseguitori".
"Hai ragione, Alina, ma penso che non incontreremo nulla, se non pattuglie imperiali, ancora per molte decine di miglia. Dobbiamo fare qualcos'altro: scendendo ancora un po' nelle vallate, dovremmo incontrare dei corsi d'acqua che scorrono abbastanza tranquilli nei fondovalle verso Nord, verso le pianure. Costruendo una canoa, sarà possibile discendere i vari affluenti e raggiungere i primi villaggi imperiali in pochi giorni, percorrendo ogni giorno almeno il triplo di quanto potremmo mai fare a piedi. A quel punto, potremo cercare di procurarci dei cavalli".
Alina sollevò un sopracciglio: " Una canoa su un fiume, in una regione quasi deserta, è un bersaglio sospetto e facile per una pattuglia appostata sulle rive di un fiume…".
" Per questo non preoccuparti… ci accorgeremmo di loro molto prima che loro di noi, te lo assicuro".
" Presumo che chi si accorgerebbe di loro in realtà abbia una pelliccia nera e cammini su quattro zampe…".
" L'ho sempre detto che sei una ragazza intelligente…".
Il giorno dopo, i due raggiunsero un piccolo fiume dalle acque abbastanza tranquille da essere navigare. Alina abbattè con la scure un grosso pino dal tronco largo ma tenero, che in poche ore venne scavato e modellato in modo da costituire una rozza e traballante canoa, non molto agile sulle acque del fiume ma sufficiente per seguirne la corrente senza correre troppi rischi.
I due si divisero i compiti: di giorno Alina si teneva al timone mentre Lewin pescava e riposava, di notte Lewin teneva il timone, usando le sue capacità mentali nel buio per non arenarsi sulla riva, mentre era il turno di Alina per dormire.
In questo modo, riuscirono a percorrere quasi cento miglia in due giorni e mezzo. In una sola occasione, in un tardo pomeriggio, Lewin annunciò che c'era qualcuno un paio di miglia davanti a loro, accampato vicino alla riva del fiume. I due attesero fino all'imbrunire, dopo di che passarono silenziosi in canoa davanti all'accampamento di una pattuglia imperiale approfittando dell'oscurità.
Fu così che, viaggiando veloci come la corrente, nel pomeriggio del terzo giorno di viaggio in canoa giunsero in vista della prima cittadella fortificata imperiale, affacciata sulle acque di un fiume che era ormai diventato largo e lento nella pianura.

*      *      *

La cittadella di Palinur era stata fortificata con una robusta cinta di mura una ventina di anni prima, quando un'improvvisa quanto violenta offensiva dell'esercito reale, dal confine sulle pianure centrali delle Terre Conosciute verso nord-ovest, aveva realizzato una penetrazione in territorio imperiale, intorno al massiccio dei Monti Uroni, profonda diverse centinaia di miglia fino alla contea di Palinur, dove era stata arrestata. Negli anni successivi le forze reali erano state progressivamente respinte fino al confine originario ed anche oltre, ma negli ultimi tempi gli sviluppi militari della situazione vedevano nuovamente i reali all'offensiva, questa volta con i Paladini della Legione Sacra alla loro testa.
I combattimenti si stavano quindi spostando nuovamente verso nord, e Palinur era ormai poco distante dalla zona delle retrovie della nuova linea del fronte. L'esercito imperiale, nel settore, aveva il fianco destro appoggiato al massiccio dei monti Uroni, e da questo i reparti imperiali erano schierati in un ampio arco con andamento SudOvest-NordEst per contenere la crescente pressione delle divisioni reali verso le pianure centrali dell'Impero.
Nel teatro dei combattimenti il Comando Imperiale stava cercando di portare buona parte delle sue riserve di truppe fresche, molte delle quali facevano tappa a Palinur lungo il tragitto verso il fronte.
Per questo motivo, all'arrivo di Lewin e di Alina, Palinur ed i suoi immediati dintorni pullulavano di truppe in movimento.
I due abbandonarono la canoa in un luogo lontano dalla cittadina e si avviarono verso le Mura, dove furono fermati dalle sentinelle a guardia dei cancelli. Il sergente che le comandava sembrò piuttosto dubbioso di fronte alla storia con cui si spacciarono per cacciatori di pellicce di ritorno dai Monti Uroni dopo la stagione di caccia estiva, ma il potere ipnotico di Lewin gli consentì di ottenere libero ingresso nella cittadina.
Superate le mura e mescolatisi alla moltitudine di gente che affollava le strette stradine di Palinur, i due si misero alla ricerca di una bottega dove vendere i loro abiti di pelliccia e dove comprare semplici ed anonimi vestiti da viaggio. Per precauzione, Alina tenne per tutto il tempo i vari pezzi della sua armatura nascosti nello zaino, a meno della grande scure d'acciaio.
Infine, a sera inoltrata, trovarono una discreta locanda dove consumare un pasto caldo ed ascoltare le voci che correvano tra la popolazione di Palinur.

*      *      *

Le braciole di cinghiale erano ben cotte, e la birra deliziosa, ancor più deliziosa dopo i tanti disagi del recente viaggio.
Seduti ad un piccolo tavolo in un angolo dell'affollato salone della locanda, terminato di cenare, Lewin ed Alina rimasero ad ascoltare le chiacchiere dei tavoli vicini, fumando a turno la pipa di Lewin.
Si percepiva un'aria di preoccupazione generale: molti dei presenti erano soldati in libera uscita, i quali si interrogavano a vicenda cercando notizie di prima mano sull'andamento dei combattimenti. Alcuni affermavano che le perdite imperiali diventavano di giorno in giorno più pesanti di quelle reali, i quali continuavano ad avanzare di miglio in miglio. Il vero problema era che le riserve di uomini addestrati cominciavano a scarseggiare ed alcuni si interrogavano apertamente sulla possibilità, da parte dell'Impero, di reggere ancora a lungo la pressione sui suoi confini.
"Non è certo l'atteggiamento ed il morale giusto per andare al fronte" - commentò a bassa voce Alina, tra una boccata di fumo e l'altra - "Non penso che questi uomini possano impensierire più di tanto i nostri soldati, ormai con il morale alle stelle".
Poi, guardando l'orribile proprietaria della locanda, una vecchia di almeno settanta anni con un'espressione arcigna dipinta sul viso, commentò allegramente: "Non credo che questa sera troverai facilmente divertimenti notturni, Mago, a meno che tu non sia addirittura capace di far ringiovanire una vecchia megera".
"Anche ringiovanita" - convenne Lewin - "non sarebbe sicuramente un gran che… addio divertimenti notturni…" - sospirò platealmente.
Fu in quel momento che la grande scure di Alina, appoggiata alla parete vicino al tavolo, attirò l'attenzione di un gruppo di soldati di un tavolo vicino.
"Hei, questa sì che è una bella arma !" - disse uno, alzandosi pesantemente ed allungando la mano verso l'impugnatura della scure.
La mano di Alina si posò però sul suo polso, fermandolo: "Quest'arma non è in vendita, soldato".
Il soldato la guardò dall'alto in basso: "Io dico invece che una scure come questa dovrebbe stare nelle mani di un difensore dell'Impero, e non in quelle di qualcuno che se ne sta tranquillo lontano dal fronte ".
Alina spinse indietro la sedia e si alzò, continuando a stringere il polso dell'uomo: era alta quanto lui, ed i due si fissarono negli occhi.
"Se ti serve un'arma, chiedila ai tuoi superiori. Ho detto che questa non è in vendita".
Il soldato la fissò stupito: sotto i modesti abiti di cuoio, si intuiva che la donna aveva un fisico atletico, i suoi occhi erano di ghiaccio e la sua presa sul polso ferrea. Forse non era il caso di scherzare più di tanto con lei, ma i commenti dei suoi compagni al tavolo sulla sua incapacità di "convincere" una donna a dargli quello che voleva gli fecero commettere l'errore di farsi trascinare dall'istinto.
Si liberò con uno strattone dalla presa al polso e cercò di schiaffeggiare la donna con il dorso dell'altra mano.
Non arrivò neanche a metà del movimento: con la sinistra Alina gli fermò il braccio e con la destra raggiunse fulmineamente la trachea del soldato, stringendola tra il pollice e l'indice.
Con un colpo di spalla lo spinse poi verso il muro, aumentando la pressione delle dita sulla gola: "Un altro movimento, soldato, e di estraggo la trachea dalla gola senza neanche bisogno di una lama".
Un dolore lancinante colpì alla gola il soldato, schiacciato contro la parete e con gli occhi sbarrati. I suoi compagni al tavolo, però, dopo un attimo di stupore stavano già alzandosi per intervenire.
Lewin imprecò sottovoce: un combattimento in una locanda era proprio ciò che ci voleva per attirare l'attenzione su di loro. Una voce da un altro tavolo lo fece però voltare: "Lascia quel soldato, donna".
Un anziano sergente, dall'espressione neutra e dal volto che sembrava di cuoio, si era alzato in piedi.
I soldati si fermarono, non tanto per il grido del sergente, quanto per il fatto che la sua mano impugnava una balestra con la freccia innestata.
L'arma era puntata verso il basso, ma lo sguardo del sergente era fisso su Alina: "Non te lo ripeterò più, donna. Lascia quel soldato".
Lewin sapeva che Alina doveva avere un coltello nascosto da qualche parte, e che con ogni probabilità sarebbe stata capace di lanciarlo prima ancora che il sergente fosse in grado di mirare, e pregò silenziosamente gli Dei che Alina dimostrasse un po' di buon senso.
Fortunatamente, Alina lasciò andare la gola del soldato, che si allontanò tossendo e malfermo sulle gambe, e si voltò verso il sergente.
Mantenendo lo sguardo fisso sulla donna, questi schiaffeggiò violentemente il soldato mentre gli sfilava accanto, mandandolo a rotolare sui suoi compagni del tavolo. Poi, a piccoli passi, si avvicinò ad Alina con la balestra ancora carica.
"Ti sai difendere bene, donna. Mi chiedo dove tu abbia imparato, e perché. Tutti coloro in grado di combattere indossano ormai una divisa imperiale, ma non tu. Chi sei, e da dove vieni ? ".
" Ho indossato l'uniforme imperiale per diversi anni, sergente ".
" E quale uniforme avresti indossato ? ".
" Quella della cavalleria leggera. Del decimo reggimento, per la precisione: "I Lancieri di Haaken ".
"Conosco quel reggimento. E perché non la indossi più ? ".
Lentamente Alina sollevò la manica del braccio sinistro, rivelando un'impressionante cicatrice che correva lungo tutto l'avambraccio.
"Assieme a questo, ho un altro ricordo dell'esercito reale, dietro la gamba destra. Non mi abbasserò i pantaloni per fartelo vedere, ma è peggiore di questo: mi ha reciso i tendini del polpaccio. Posso camminare, ma non correre, né tantomeno cavalcare. Una volta guarita dalle ferite, sono stata congedata perché non più abile al servizio, con tante grazie, tre anni fa".
"Dove si trovava il decimo reggimento, a quel tempo ? ".
"Sulle alture del Frenzen, dove ebbe luogo una battaglia sfortunata: un terzo del reggimento venne distrutto da un attacco a sorpresa da parte di un'intera divisione reale ".
" Ciò che dici è vero. Ero da quelle parti anch'io, a quel tempo, un po' più a sud, con la quindicesima divisione di fanteria. Il tuo decimo reggimento inquadrava diverse donne-guerriere, che non erano male in battaglia. Come si chiamava il tuo Comandante di Reggimento ? ".
" Efrem detto "il Pazzo", mentre il tuo Comandante di Divisione era Gudrun detto il Macellaio" - disse Alina sorridendo.
" Mi hai convinto, donna "- disse finalmente il sergente, scaricando la balestra - "Mi dispiace per la tua gamba. Cosa fai ora per guadagnarti da vivere ? ".
" Caccia di pellicce, sui Monti Uroni, finchè non troverò qualcosa di meglio ".
" Lui è con te ? " - chiese, indicando Lewin.
" E' stato il mio compagno di caccia per questa stagione, e forse lo sarà per la prossima ".
" Buona fortuna, donna " - e fece per voltarsi.
" Aspetta…, voglio chiederti una cosa ".
Il sergente si girò di nuovo.
"E' vero ciò che ho sentito tornando dalle montagne… e cioè che stiamo perdendo ? ".
Il vecchio sergente sorrise: "Il pendolo di questa dannata guerra ha oscillato talmente tante volte che dubito che questa sia la volta definitiva. Una volta che lo slancio dei reali si sarà esaurito, allora contrattaccheremo e li ricacceremo indietro… ".
" …ed il dannato gioco ricomincerà un'altra volta…" - concluse Alina.
" … ed il dannato gioco ricomincerà un'altra volta…" - ripetè il sergente, ritornando al suo tavolo.
Anche Alina tornò a sedersi, e presto le conversazioni ai vari tavoli vicini ripresero normalmente.
"Ho esaminato i pensieri del sergente, Alina. Stava per farti arrestare, ma poi sei riuscita a convincerlo completamente. Complimenti, sei un'ottima attrice. Ma come facevi a sapere tutte quelle cose sui reparti imperiali ? ".
"Ho combattuto veramente sulle alture del Frenzen, tre anni fa, ma dalla parte dei reali. Solo che, come sempre, la vittoria è scaturita non solo dalle forze in campo, ma dalle informazioni disponibili. Per noi Paladini è fondamentale conoscere il più possibile la situazione del nemico, con ricognizioni, infiltrazioni di informatori, interrogatori di disertori e prigionieri. Di solito, veniamo a sapere tutto o quasi sui reparti che abbiamo di fronte, e soprattutto sui loro comandanti.
Efrem il Pazzo, per esempio, era veramente pazzo. Quando sfondammo la loro linea difensiva, si trovò completamente senza riserve. Invece di ordinare un ripiegamento, si lanciò all'attacco seguito solo dalla sua scorta personale, poco più di una decina di cavalieri, contro un intero squadrone. Era pazzo, ma un pazzo coraggioso e forte: faticai ad ucciderlo in duello, e mi ha lasciato questo ricordo sul braccio".
" Sul braccio, ma non hai nessun segno sulla gamba ".
"E tu cosa ne sai delle mie gambe ? ".
"Le ho viste le tue gambe, e non sono decorate da nessuna cicatrice: hai bluffato, Alina. Se il sergente avesse insistito per controllare, ti avrebbe scoperto ed avremmo dovuto combattere ".
"Se fossi stata costretta a scoprirmi le gambe, credo che tu avresti fatto in modo da lasciare il sergente convinto di aver visto una cicatrice che in realtà non c'era, proprio come io avevo detto, o sbaglio ? ".
Lewin scoppiò a ridere: "Vedo che cominciamo a capirci al volo, a lavorare quasi come una squadra".
"Diciamo che comincio a considerarti un buon compagno di viaggio".
"Spero che tu non abbia altre cicatrici nascoste, Alina; non vorrei restare deluso".
Alina lo guardò di traverso: "E perché mai dovresti rimanere deluso?".
"Le cicatrici riducono il fascino femminile, lo sanno tutti".
Alina rimase un attimo perplessa, non sapendo bene cosa replicare, ma alla fine, invece di arrabbiarsi, preferì precisare:
"Ti ho già detto che nella Legione diciamo che c'è un tempo ed un luogo per tutte le cose. Anche ammesso che ci possa lontanamente, e sottolineo lontanamente, essere spazio per qualcosa tra noi, siamo ben lontani sia dal luogo che dal momento giusto ".
"Potrei prendere il controllo della tua mente… e costringerti a fare quello che voglio io…" - insinuò Lewin.
" Ascolta, bel Mago dagli occhi verdi. Primo, non sono del tutto sicura che tu lo possa fare. Secondo, anche ammesso che sia così, dovresti mantenerlo per tutta la vita, questo controllo su di me, perché altrimenti alla prima occasione, anche nel sonno, ti taglierei la gola. Nessuno ha mai costretto Alina Therin ai suoi voleri. Mi sono spiegata, o potentissimo Druido dei tempi andati ? ".
Lewin alzò le mani in segno di resa: "Per tutti gli Dei, Alina. Lasciamo perdere tutto. Non potrei mai sopportare la tua mente per tutta la vita. Di solito mi stanco subito delle mie conquiste, e devo essere libero di cercarne di nuove ! ".
"Bastardo di un Mago… all'inferno tu e le tue conquiste !! " - sbottò Alina, scuotendo la testa, ma con un'espressione divertita ed amichevole sul volto - "E' meglio andare a dormire, piuttosto. Domattina dobbiamo andare in cerca di buoni cavalli, e poi partire al più presto: questa città non è sicura per noi, e non dovremmo neanche perdere tempo".
Lewin annuì, terminò la sua birra e si alzò subito dopo Alina. Pochi minuti dopo, entrambi dormivano profondamente al piano superiore della locanda, in due camere diverse.


*      *      *

Il giorno dopo, usciti dalla locanda, Alina sollevò un nuovo problema: "Ascolta, Lewin. Per comprare dei cavalli…".
"…Per comprare dei cavalli…" - fece eco il Mago.
" … dobbiamo avere dei soldi, e soldi imperiali, per la precisione "- concluse la donna.
" Già… soldi imperiali " - fece eco Lewin, sornione.
" Quindi… o rubiamo i soldi… o rubiamo i cavalli " - aggiunse pratica Alina.
" In realtà, ci sarebbe una terza soluzione… " - annunciò Lewin - "Guarda qui" - ed estrasse dalla tasca un pugno di monete.
"Metti via quei soldi, pazzo ! C'è lo stemma del Re !! ".
" Ancora per poco…" - e Lewin agitò le monete nel palmo della mano. Quando le esibì nuovamente, i dieci scudi d'oro portavano impressa l'effigie dell'Imperatore.
"Stupefacente…".
"Niente di eccezionale. Quasi tutti i Maghi sono in grado di cambiare le monete, e qualcuno anche di crearle dal nulla, anche se non lo fa sapere a nessuno ".
"Comunque, il problema è risolto".
Poche ore dopo, infatti, i due cavalcavano due ottimi cavalli grigi lungo una pista polverosa diretta a nord, lasciandosi alle spalle le mura di Palinur.
" Sempre verso nord…" - commentò Alina - " non è ancora giunta per me l'ora di saperne di più ? ".
Lewin la guardò, combattuto, e poi disse: "Cosa vuoi sapere ? ".
" Stiamo ancora seguendo il Lupo ? ".
" Sì. E' alcune miglia davanti a noi, lo sento ".
" Dove ci sta portando ? ".
" Dove sente che i Demoni Superiori si stanno risvegliando, e dove essi diventano sempre più numerosi ".
" Tu avevi parlato di un umano dietro a questi risvegli…".
" Il mio Maestro mi disse che è possibile soggiogare un Demone Superiore alla propria volontà, creando magicamente delle Gemme del Potere, dei cristalli del tipo di quello che ho trovato sui resti dei Demoni uccisi ad Esperia.
Penso quindi che il nostro vero nemico sia un Mago, o meglio una specie di Druido, che si serve dei Demoni, per motivi che dovremmo scoprire".
"Non sai altro ? ".
" Ancora no. Il mio Maestro, prima di scomparire, mi disse che sarebbe venuto per me il momento di seguire il Lupo, e di adempiere al mio destino. Un destino che ancora non conosco, e che Lui non mi ha voluto rivelare. Mi ha detto solamente che, per adempiere alla mia missione, tanti anni fa, ancora prima che io nascessi, era stata forgiata questa Spada Nera, appositamente per me".
"Anche Lui possiede una di queste Spade ?".
" Mi disse di no, e non credo che mi abbia mentito".
" Segui il Lupo ed uccidi il nemico che troverai. Se questo è tutto ciò che sai del tuo compito, credo che tu ti trovi in un grosso guaio, Lewin, ed io con te" - commentò Alina, fissando la pista davanti a lei.
Il Mago si voltò, guardando la donna ed apprezzandone la strana bellezza - " Mi dispiacerebbe che tu morissi per colpa mia ".
Alina scrollò le spalle: " Il tuo Maestro ti ha insegnato che non importa quanto sia lunga la linea della tua vita nel grande quadro del Tempo e dello Spazio. E' importante invece che quella linea sia armoniosamente inserita nell'Universo ".
Lewin la fissò a bocca aperta. Accorgendosene, Alina gli sorrise: "Mi rendo conto di imparare molte cose, insieme a te. E' un'impresa gloriosa, quella che stiamo tentando, comunque vada a finire. Chissà se, alla fine di tutto, troveremo "il tempo ed il luogo"… per qualcos'altro…"

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