Capitolo VI - Il mago


Il vecchio Ernest si voltò indietro, guardando il castello di Orguz per l'ultima volta. Non riuscì a trattenere le lacrime: nonostante fossero passati alcuni giorni, il dolore per la tragica scomparsa del suo padrone, il mago Olandir, non accennava a diminuire.
L'anziano servitore aveva trascorso quasi tutta la sua vita al fianco del mago, sin da quando erano entrambi molto giovani; ora, tutto il suo mondo sembrava andato in frantumi: non aveva parenti, non aveva amici, non aveva un posto dove andare. Sarebbe potuto rimanere al castello, dove lui ed Olandir avevano vissuto i precedenti vent'anni, ma nulla in particolare lo legava a quel luogo, e più di ogni altra cosa l'idea di restare un giorno di più lì dove era morto il suo padrone gli riusciva insopportabile.
Inoltre sul castello aleggiava ormai un'atmosfera di cupa disperazione: alla notizia dell'uccisione del mago e soprattutto della fuga della misteriosa creatura infernale, il Duca Herbert Skillgard aveva avuto un colpo al cuore, morendo all'istante.
Il grande Ducato era quindi privo di guida, e si vociferava che i quattro figli maschi del Duca fossero già pronti a muoversi guerra l'uno contro l'altro, per spartirsi i possedimenti e le ricchezze rimaste senza padrone: solo un intervento diretto dell'Imperatore avrebbe potuto evitare che il Ducato piombasse nel caos più totale.
Non sapendo più cosa fare, l'anziano servo aveva deciso di recarsi dal consigliere personale del Conte di Arkander, il mago Urik, uno dei pochi veri amici del suo scomparso padrone.
La residenza del Conte distava, nella stagione estiva, poco meno di dieci giorni di viaggio; Ernest si asciugò le lacrime, si ricompose e spronò il suo piccolo asino.
Il percorso da seguire lo avrebbe portato verso nord, fin quasi alle pendici degli impervi monti Imani orientali, attraverso terre boscose e scarsamente abitate; sotto una pioggia sottile ma insistente, non inusuale in quella regione anche nel periodo estivo, il piccolo asino si mise in cammino, gravato dal peso di Ernest e dai due sacchi di tela rozza che contenevano i suoi pochi averi.
Il cielo grigio, con basse nuvole in movimento, e la nebbia che lo avvolse una volta inoltratosi lungo il sentiero che attraversava il bosco a nord del castello, non contribuirono certo a migliorare lo stato d'animo dell'uomo.
In realtà, non riusciva a togliersi un pensiero dalla mente: perché aveva preso quel Libro ?
Sapeva che la causa di tutto era stata proprio il Libro: quelle pagine avevano alimentato prima l'ambizione sfrenata di Gotrek, poi quella del Duca, ed infine avevano permesso l'infernale evocazione che aveva ucciso il suo padrone.
L'uomo ricordava con orrore il momento in cui era entrato nella cella sotterranea, per tentare di ricomporre ciò che rimaneva di Olandir. Il Libro era lì, sul tavolo vicino al focolare: preso da un impulso irrefrenabile, che sembrava provenire dal Libro stesso, Ernest lo aveva preso con sé e nascosto nella sua piccola stanza.
La sparizione del Libro non era stata notata: tra i segretari e consiglieri del Duca forse nessuno era a conoscenza della sua esistenza e dei progetti segreti sui Demoni, ed se anche qualcuno lo fosse stato, sicuramente sarebbe stato altrettanto ansioso di mettersi l'intera tragica vicenda alle spalle, dimenticandone al più presto i sinistri dettagli.
Perché aveva preso e nascosto quel Libro ?
All'inizio aveva pensato che fosse stato il desiderio di vedere quelle pagine distrutte per sempre, ma quando aveva provato a gettare il pesante volume tra le fiamme del camino, la sua mano, inspiegabilmente, si era rifiutata di obbedirgli.
L'unica cosa che gli restava da fare, pensò per l'ennesima volta Ernest mentre la nebbia nel bosco si faceva più fitta e la pioggia più insistente, era quella di portare il Libro al mago Urik, e lasciare a lui la responsabilità di decidere che cosa farne.

*      *      *

La carne arrostita sulla brace spandeva per tutta la grotta un delizioso aroma; Lewin lo aspirò, chiudendo gli occhi e pregustando la cena. Con un ramo dalle larghe foglie stava sospingendo lentamente il fumo del focolare verso l'ingresso della piccola caverna, per mantenere l'aria respirabile.
Accendere un fuoco non era quasi mai consigliabile durante una fuga, di giorno perché il fumo poteva essere avvistato da lontano, di notte perché la luce diffusa tra gli alberi dalle fiamme poteva essere quasi altrettanto visibile.
Quando però il giovane riusciva a trovare lungo il cammino una grotta sufficientemente nascosta, ne approfittava per passare una notte al caldo e per arrostire qualche animale cacciato nei boschi: le pareti della grotta avrebbero nascosto la luce, e l'oscurità avrebbe occultato il fumo che fuoriusciva.
Dopo quasi due settimane di cammino, Lewin stava per arrivare all'imbocco meridionale della valle parallela a quella Klaghen, chiusa a sud da una ripida cresta verso la quale il terreno già cominciava a salire.
Il giovane riteneva di aver ormai sopravanzato il grosso dell'Armata Imperiale nel suo movimento verso sud, ed aveva in programma di ripassare verso occidente la cresta spartiacque, riportandosi nella stessa valle degli Imperiali; Lewin conosceva abbastanza bene quelle terre, più volte attraversate nelle sue peregrinazioni durante il volontario esilio da Fringen. Secondo i suoi calcoli, sarebbe sbucato nella vallata con un paio di giorni di anticipo sull'arrivo degli Imperiali, ed in circa tre giorni di cammino verso sud sarebbe giunto a Fringen.
Lo sfrigolare del grasso che colava dallo spiedo sulle braci incandescenti indicava che la lepre scuoiata era ormai arrostita, ed il giovane la tolse dal fuoco tagliandola poi col coltello in grossi pezzi.
Mentre mangiava, rilassando i muscoli dopo un'altra giornata di cammino a passo svelto, si convinse che il tempo di riflettere era ormai giunto.
Nei giorni precedenti aveva infatti deliberatamente evitato di pensare a ciò che era successo nei pressi del castello, concentrandosi sulla necessità di fuggire. Ora la fuga era quasi al termine, ed il giovane doveva mettere ordine nei suoi pensieri e nella sua coscienza.
Un assassinio.
Un assassinio, ecco come poteva essere definita l'uccisione del Comandante nemico, a lui riuscita pochi giorni prima.
Secondo le sue idee ed i suoi principi, un assassinio era l'uccisione di una persona ignara di essere minacciata, ed uccisa a sangue freddo. Non era un atto leale, ma d'altra parte Lewin non pensava che tutti meritassero un comportamento leale. Un assassinio, quindi, poteva anche essere giustificato: giustificato dalla particolare crudeltà, malvagità dei crimini di cui una persona si era macchiata. In fin dei conti, Lewin aveva assassinato l'oste Aral a sangue freddo e non ne provava alcun rimorso, talmente profonde erano le ferite infertegli durante l'adolescenza che Lewin rimproverava all'oste.
Ma il Duca no.
Per quanto Lewin ne sapesse, il Duca era, o era stato, solamente un soldato, ed anche particolarmente in gamba. Non era accusato di alcun crimine, di alcuna crudeltà, di alcun misfatto.
E' vero, c'era una guerra in corso. Ed in guerra i soldati muoiono.
In combattimento Lewin stesso, nei giorni precedenti all'assedio, aveva ucciso con la sua balestra diversi cavalieri nemici, durante gli scontri tra le reciproche forze da ricognizione.
Erano stati però scontri a viso aperto, dove chiunque si era potuto difendere secondo la propria abilità: una sfida leale, non un assassinio.
Poteva la guerra giustificare un assassinio ?
Lewin, in realtà, non aveva nulla contro gli Imperiali e non aveva niente da perdere nè da guadagnare dalla vittoria di uno o dell'altro dei contendenti.
Sì, ricordava che i suoi genitori erano morti durante un'incursione dell'esercito imperiale, quando lui non aveva neanche sette anni, ma in coscienza avrebbe ritenuto responsabili della loro morte solo gli esecutori materiali dell'uccisione, non l'intero popolo dell'Impero di Argan.
La verità era che, in conseguenza del suo ritiro dal mondo, Lewin non si sentiva legato a nessuna bandiera, e militava nell'Esercito Reale più per spirito di avventura che per altro.
Ma non gli si doveva chiedere di assassinare qualcuno.
Non c'era onore in ciò che aveva fatto, anche se con ogni probabilità gli avrebbe persino potuto procurare una promozione.
Era stato un semplice sicario, nelle mani di Muster, o di Fendor, o di Elmar, o del Re, non sapeva neanche lui cosa pensare.
Non gli piaceva.
Una volta rientrato nelle file dell'Esercito Reale, avrebbe parlato con Muster o con chi si fosse trovato come superiore, per spiegare che non intendeva continuare quella vita, e che se ne sarebbe andato.
Sparire senza dir nulla non sarebbe stato onorevole: Muster aveva comunque diritto ad una spiegazione, anche se difficilmente avrebbe potuto capire.
Terminato di mangiare, Lewin come di consueto accese la lunga pipa; osservare le bianche volute di fumo che si innalzavano pigramente verso il soffitto muscoso della grotta, mescolandosi con quelle del focolare, lo aiutava a meditare. Ormai aveva deciso: avrebbe lasciato l'Esercito Reale.

Ma poi ?
Cosa avrebbe fatto dopo ?
Il Mago Ravendel.
All'improvviso gli tornò in mente quel brandello di conversazione: "C'è qualcosa di strano in te…" e poi "Vedremo di approfondire ulteriormente la questione ed indagare con calma sul tuo passato, giovane arciere" - queste erano state le parole del mago !!
Il giovane si irrigidì: forse Ravendel poteva davvero indagare nella sua mente, nel suo inconscio, e scoprire qualcosa sulle sue origini, sul mistero che quasi certamente esse nascondevano.
Ecco cosa avrebbe fatto: avrebbe cercato il mago ed avrebbe chiesto il suo aiuto.

*      *      *

Tre giorni più tardi, poco prima del tramonto, Lewin arrivò in vista della cittadina di Fringen; non si meravigliò molto del fatto di trovarla pressochè deserta: spaventata dall'avvicinarsi del nemico, gran parte della popolazione aveva infatti deciso di scappare e rifugiarsi più a sud, portando con sé i propri averi ed il bestiame.
Giunto all'altezza delle prime case, udì una voce che lo costrinse a fermarsi; nascosta alla vista, una pattuglia dell'Esercito reale gli intimò di dichiarare la sua identità, tenendolo sicuramente sotto tiro dalle finestre di qualche edificio del paese.
Una volta dichiarato il suo nome e la sua appartenenza agli esploratori della guarnigione di Klaghen, la porta di una delle ultime case di Fringen si aprì ed un soldato con l'uniforme della cavalleria reale si fece avanti lungo la strada.
Lewin non si mosse, e quando il soldato lo raggiunse, il giovane gli porse il piccolo incartamento sul quale risultava il suo arruolamento nell'esercito reale.
"Potrebbe essere un documento rubato, esploratore, e tu potresti essere una spia. Qual è il nome del tuo superiore ? " - replicò l'altro, non ancora del tutto convinto.
"Faccio parte della pattuglia del sergente Muster, ed il nostro punto di raccolta era stato fissato qui a Fringen".
"Per adesso, questo può bastare; Muster ci aveva in effetti lasciato il tuo nome. Ti farò accompagnare dal Comandante del nostro squadrone, ma dovrai lasciare qui le tue armi finchè non saremo sicuri della tua identità".
Una volta posata la balestra ed il coltello da caccia, il giovane fu quindi accompagnato lungo la strada principale, verso il centro del paese.

*      *      *

Mezz'ora dopo, Lewin si trovava di fronte all'Ufficiale al comando del piccolo distaccamento di cavalleria, inviato in tutta fretta nel settore di Fringen.
"La nostra è una situazione difficile, esploratore, ma non ancora disperata; tutto dipenderà dalla rapidità con cui caleranno gli Imperiali.
Due divisioni reali si stanno in questi giorni organizzando a difesa cinquanta miglia più a sud di Fringen, all'incirca seguendo l'andamento del fiume Iprin. E' tutto ciò che il Regno può opporre all'Armata del Nord, ma se riusciranno a contenere il nemico per i prossimi due mesi, con l'arrivo dell'autunno gli imperiali saranno costretti a ritirarsi. Stiamo facendo terra bruciata davanti a loro: in tutta la regione che attraverseranno, fino al fiume Iprin, non troveranno un solo campo di grano o un capo di bestiame con cui rifornirsi; non gli lasceremo neanche un frutteto, Talamor, e con l'avvicinarsi dei mesi freddi, una forza di quelle dimensioni non sarà assolutamente in grado di sostentarsi.
I passi settentrionali diventeranno pressochè impraticabili con le prime nevicate, ostacolando i rifornimenti da nord lungo la vallata di Klaghen: con un po' di fortuna, costringeremo gli Imperiali a tornarsene nelle loro terre per non rimanere bloccati qui, a morire di fame per tutto l'inverno.
Ma ora parliamo di te, Talamor; a quanto ne so, ci hai facilitato di molto il compito, uccidendo il Duca Whilhem. Muster è stato qui una settimana fa, informandomi degli eventi e pregandomi di comunicarti, nel caso tu fossi giunto a Fringen, di recarti a sud verso il fiume Iprin, fino agli accampamenti delle nostre due divisioni: lui ti aspetta lì ".
"Il resto della mia pattuglia, che scortava a sud Lord Ravendel, il mago del castello di Klaghen, è passata di qui ? " - chiese esitando il giovane, quasi temendo la risposta.
La risposta fu invece un sollievo: "Sono arrivati qui due giorni dopo Muster, sani e salvi. Il giorno dopo sono ripartiti verso sud, guidati dal sergente stesso".
"Con il vostro permesso, avrei intenzione di ripartire al più presto, domani mattina all'alba. Se avessi un cavallo" - azzardò il giovane - "potrei raggiungere più rapidamente il mio reparto…".
"Certamente, esploratore. E' il minimo che io possa fare, per chi ha eliminato un pericoloso nemico. Potrai prendere uno dei nostri cavalli di scorta. E fai attenzione mentre viaggi, perchè molte pattuglie di esploratori imperiali operano già a sud di Fringen; noi facciamo fatica ad avere una situazione chiara dal settore, e temo che presto, al massimo entro un paio di giorni, dovrò far ripiegare il mio squadrone per non rimanere agganciato in uno scontro aperto contro il grosso delle forze nemiche.
Tra Fringen ed il fiume Iprin operano solo tre squadroni di cavalleria, compreso il mio, ed il nostro compito è quello di contrastare i loro ricognitori e ritardare il più possibile la loro avanguardia, per consentire più tempo ai lavori di fortificazione.
Quindi sii prudente, perché non mi sorprenderei affatto se t'imbattessi in un'imboscata da parte di una pattuglia di esploratori nemici appostata lungo la strada".
Lewin ringraziò e si congedò, non riuscendo a distogliere la sua mente dal pensiero di un possibile prossimo incontro con il mago Ravendel.

*      *      *

Urik Fenner si sentì pervadere da un'emozione contrastante, un misto di soddisfazione e paura, esultanza e terrore.
E così, ciò di cui era stato da sempre convinto, e per cui aveva a volte sopportato lo scetticismo di molti suoi pari, era vero. Lui ed Emoth, ed il suo discepolo Olandir, ne erano stati sicuri sin dall'inizio, avevano più volte sollevato la questione durante il Gran Consiglio dei Maghi Imperiali, senza ottenere apprezzabili risultati.
Ora, ormai ottantenne, Urik Fenner aveva per la prima volta la possibilità di provare che tutto era vero. Forse un giorno avrebbe maledetto il momento in cui il servo di Olandir, Ernest, gli aveva consegnato quel Libro, ma Urik sapeva che non si sarebbe potuto tirare indietro.
Ora il suo compito sarebbe stato quello di dimostrare agli altri che i Demoni, gli antichi Signori della Terra, erano veramente esistiti ed esistevano ancora.
La leggenda che circondava la loro esistenza aveva un terribile fondamento di verità, e la lettura delle pagine ingiallite dal tempo forniva conoscenze che davano origine ad ulteriori e più profondi interrogativi.
Comunque, il primo problema era ora il seguente:
Chi doveva essere messo a conoscenza dell'esistenza dei Demoni e della possibilità di evocarli e controllarli ?

*      *      *

"Tu devi essere pazzo, Lewin Talamor!! Completamente pazzo!! Non c'è altra spiegazione! " - il neo-promosso tribuno Gerard Muster era più stupito che arrabbiato - " io ho impiegato sette anni per essere promosso sergente: tu ci sei riuscito in poche settimane… e ci sputi sopra !!! ".
Lewin si sentiva a disagio sotto gli occhi dei tre uomini riuniti nella tenda, ed abbassò gli occhi sulla sua mano, che ancora stringeva la medaglia consegnatagli solo pochi minuti prima.
Raggiunti gli accampamenti divisionali lungo il fiume Iprin, infatti, il giovane aveva avuto la sorpresa di veder riconosciuto il suo gesto, l'eliminazione del Duca nemico, meritevole di una promozione al grado superiore, quello di Sergente.
Anche Muster, in considerazione del fatto che la sua pattuglia aveva con successo scortato in salvo Lord Ravendel ed aveva ottenuto il grosso risultato di decapitare l'Armata Imperiale del Nord, era stato promosso tribuno, cioè ufficiale inferiore al comando di una cinquantina di uomini. Nell'Esercito del Re, tribuno era solitamente un grado riservato ai giovani della piccola nobiltà, e per un uomo dalle umili origini come Muster si trattava di un riconoscimento personale di grande prestigio.
Gli altri due uomini nella tenda, Lord Ravendel ed Erik Fendor, restarono silenziosi. Fendor era giunto all'accampamento quasi contemporaneamente a Lewin: era riuscito a scappare dal castello di Klaghen, calandosi silenziosamente di notte dalle mura, si era infiltrato tra le fortificazioni nemiche con l'aiuto di un violento temporale ed aveva infine rubato un cavallo ad una sentinella imperiale; con una cavalcata veloce verso sud, evitando pattuglie e posti di blocco, aveva portato una missiva di Lord Elmar a Sir Stephen, Comandante in capo delle due Divisioni schierate a difesa lungo il fiume Iprin.
La lettera di Elmar ed il racconto di Fendor avevano informato Sir Stephen del fatto che altre forze, di livello pressochè pari a due intere Divisioni, stavano transitando nella valle di Klaghen dirette a sud, in rinforzo alle altre sette già a disposizione del conte Gotrek, nuovo Comandante dell'Armata Imperiale del Nord.
Svolta la missione, Fendor si era messo a disposizione di Stephen, ed aveva assunto il comando di uno squadrone di cavalleria reale.
Ora i suoi occhi fissavano senza capire il volto inespressivo di Lewin Talamor, il quale pochi minuti dopo aver ricevuto la comunicazione della nomina a sergente aveva annunciato l'intenzione di essere congedato dall'Esercito.
"Lo sai che il congedo ti può essere negato, Lewin, in una situazione critica come questa ? " - proseguì Muster in tono aspro.
" Aspettate un attimo, tribuno " - lo interruppe pacatamente il mago, e poi, rivolgendosi a Lewin: "Vorrei capire, Sergente. Cosa vi ha portato a questa decisione ? ".
Lewin sollevò il viso, sospirò e disse: "Poco prima di separarci, nel bosco ad est di Klaghen, voi mi diceste che c'era qualcosa di strano in me, mi chiedeste se ero stato addestrato nel campo delle arti magiche. Io so ben poco del mio passato: sono orfano dall'età di sette anni, non so da dove venissero i miei genitori, e non ho mai conosciuto alcun altro parente. Sono convinto che nel mio passato sia nascosto un mistero, ed intendo scoprirlo".
Il mago annuì. Senza aggiungere altro, si avvicinò lentamente al giovane, fermandosi davanti a lui. Fissandolo negli occhi, sollevò una mano fin quasi all'altezza dei suoi occhi, con il palmo rivolto verso l'alto.
Pochi istanti dopo una fiamma luminosissima, alta quasi un braccio, si levò dal palmo della mano; Muster e Fendor trasalirono, chiaramente a disagio di fronte a fenomeni inspiegabili come quelli magici; Lewin al contrario non battè ciglio, gli occhi incollati sulla fiamma.
La fiamma arse vivida per alcuni secondi, poi scomparve improvvisamente; Ravendel abbassò infine il braccio.
"Crea il fuoco, Lewin Talamor !!"- la voce del mago era bassa, ma il comando non per questo meno imperioso.
Lewin alzò anch'egli la mano, con il palmo rivolto verso l'alto. Aveva sentito qualcosa poco prima, qualcosa molto forte che aveva toccato la sua mente. Il giovane si concentrò come faceva quando doveva tirare con l'arco, entrando istantaneamente in una specie di trance; questa volta, però, la sua mente sembrò trovare nuove energie e nuove strade, e la sua coscienza si mosse quasi cieca in una nuova dimensione.
Fendor e Muster sobbalzarono quando una fiammata violentissima si alzò dalla mano di Lewin, andando ad investire la tenda sopra la testa del giovane.
La fiamma durò un attimo, ma fu sufficiente ad incenerire la spessa tela della tenda per un buon paio di braccia, lasciando un ampio buco dal quale entrarono i raggi del sole. Lewin barcollò e perse l'equilibrio, cadendo all'indietro per terra. La testa gli ronzava; mettendosi a sedere, restò per alcuni istanti con il capo tra le mani, sbigottito. Lo riscosse la risata del mago: "Per gli Dei, Talamor !! Non avrei mai creduto che un neofita potesse essere tanto forte ! A me occorsero un paio di mesi di studi e di meditazioni, solo per accendere una fiammella delle dimensioni di una candela !! ".
Avvicinandosi al giovane, Ravendel gli porse la mano per aiutarlo a rialzarsi: " Tribuno Muster " - disse - " credo in verità che la carriera di questo giovane come esploratore nell'Esercito Reale sia già terminata".
Poi, rivolto a Lewin: "Ciò che ti attende sarà molto duro, mio giovane amico, ma le premesse sono a dir poco stupefacenti !!".

*      *      *

Quella notte Lewin e Ravendel rimasero insieme fino a tardi, nella tenda del mago. Alla fine, esausto e soddisfatto nello stesso tempo, Ravendel si abbandonò su di una sedia vicina al braciere ormai spento.
"Quella strana creatura, quella specie di lupo misterioso, ha effettivamente lasciato una traccia nella tua anima: la posso sentire, nascosta nel tuo subconscio, concentrandomi nel modo giusto".
"Ma cosa significa tutto ciò ? Che cosa è quel lupo che sento così vicino ? " - la voce di Lewin era angosciata.
"E' difficile rispondere a questa domanda. In realtà, tra noi maghi circolano alcune voci, spesso negate ma mai dimenticate ".
"Di cosa di tratta ? ".
" Si tratta di Demoni, mio giovane amico ".
" Demoni ?!? ".
" Sì, Demoni. Una razza antichissima alla cui esistenza credono in pochi, e quei pochi la considerano estinta da moltissimo tempo. A dire il vero, talvolta accade che gli abitanti di qualche terra ancora selvaggia si rivolgano a noi maghi riferendo di avvistamenti di strani esseri, bestiali ma intelligenti e pericolosi. Tutte le indagini condotte, però, non hanno mai portato a nulla: ecco perché pochi di noi credono che questi esseri esistano, o siano esistiti in passato. Se dovessero esistere, comunque, è certo che evitano di venire a contatto con i maghi".
"Tranne il lupo…".
"Tranne il tuo misterioso lupo… Non so bene cosa pensare in proposito: i maghi imperiali sono più ferrati di noi sull'argomento, se non altro perché la maggior parte degli avvistamenti di cui si parla sono avvenuti sui monti Imani, lungo il confine settentrionale dell'Impero di Argan, ai margini delle Terre Conosciute".
"Ma io non posso andare da loro… sono un abitante del Regno, un nemico…".
"Non volevo dire questo: molto più a sud di qui, in una torre su di una piccola penisola lungo la costa, vive uno strano personaggio: è uno studioso, venuto ad abitare nel Regno una trentina di anni fa. Credo che provenga dalle Terre dell'Impero, ma si è sempre disinteressato all'andamento della guerra".
"E' un mago? ".
"Può darsi. Sicuramente possiede molte conoscenze nel campo della magia, ed ha partecipato quasi sempre al Gran Consiglio annuale dei maghi del Regno. Ma non credo che qualcuno lo abbia mai visto praticare direttamente un incantesimo. Ciò non toglie, però, che sia una persona fuori dal comune: tutti gli si rivolgono con rispetto, ed i suoi occhi non si dimenticano. Ciò che però lascia perplessi, Lewin, è il fatto che non sia possibile esaminare la sua mente. Quelli di noi che hanno provato a scrutare dentro di lui, hanno trovato il vuoto assoluto: nessun pensiero, neanche i più elementari, quelli che l'uomo più rozzo non può non avere. Sembrava di esaminare una roccia, non un essere vivente".
"Anche voi avete tentato di esaminarlo ? ".
"Sì, due anni fa, mentre era seduto di fronte a me durante una seduta del Consiglio. Nulla, Lewin, sembrava trasparente. Dopo qualche minuto mi ha anche sorriso, scuotendo la testa. Se veramente vuoi venire a capo del mistero del lupo, io non posso aiutarti: posso solo indirizzarti da lui ".
Il giovane sospirò: " Se è così… desidero partire subito ".
"Lo immaginavo. Ti preparerò una lettera di presentazione a mio nome, e non preoccuparti per il tuo congedo dall'esercito: farò in modo che tu venga esonerato dal servizio, mantenendo lo stesso il tuo grado. Potrai partire domani stesso".
"Non so come ringraziarvi, Lord Ravendel ".
"Non preoccuparti. Lo faccio perché qualcosa mi dice che tu sia segnato dal Destino, Lewin Talamor, e credo che la prima cosa che tu debba fare sia capire te stesso ".

*      *      *

Il giorno dopo, Fendor e Ravendel stavano cavalcando insieme lungo la riva meridionale del fiume Iprin, ispezionando su ordine di Sir Stephen l'allestimento delle difese.
"E così Talamor è partito…"- chiese Fendor pensieroso.
"Questa mattina all'alba, diretto a sud. L'ho mandato da uno studioso che vive sulla costa; credo che sia l'unico che possa aiutarlo a trovare le risposte che sta cercando " - rispose il mago.
"Pensate che la straordinaria abilità del giovane con l'arco, la balestra ed il coltello possa essere dovuta, almeno in parte, ai suoi talenti magici ? ".
Ravendel riflettè alcuni istanti, dopo di che rispose: "Di solito noi maghi disdegniamo le armi comuni, come l'arco e la spada. La maggior parte di noi è infatti in grado di uccidere un uomo semplicemente impiegando la propria energia psichica, anche se ciò lascia un mago indebolito e spossato per diverso tempo. La questione è che chi si dedica alle arti del pensiero, solitamente nutre poco interesse nell'addestrarsi al combattimento manuale.
E pur vero però, per rispondere alla vostra domanda, che la capacità di concentrazione di un mago può essere utile anche nel momento in cui si deve utilizzare un'arma comune".
"E' così anche per il giovane Talamor ? ".
"Ritengo di sì. Le sue capacità di raccoglimento interiore sono probabilmente ciò che gli consente tiri altrimenti impossibili ".
Fendor tacque per alcuni istanti, osservando distrattamente un plotone di genieri reali intenti ad innalzare una torre di guardia, distante una cinquantina di passi dalla riva scoscesa del fiume. Le querce ed i faggi che crescevano folti lungo la riva erano stati tagliati per un ampio tratto, in modo da consentire larghi campi di tiro agli arcieri e ai balestrieri che avrebbero preso posto dietro gli spessi merli di legno della torre.
Era una calda mattina di tarda estate, non un nuvola solcava il limpido cielo dell'ovest, e Fendor cominciò ad esporre la sua idea: "Sarebbe possibile, per un comune mortale senza talenti magici, sfruttare le proprie capacità di concentrazione e di raccoglimento interiore per aumentare la propria potenza in combattimento ? ".
"Non credo che sia possibile, senza l'aiuto di un buon mago. Ma, come vi ho detto, noi maghi siamo piuttosto restii a spendere il nostro tempo per studiare i meccanismi del combattimento manuale ".
" Credete che io possa trovare qualcuno disposto a farlo ? ".
Ravendel si girò sulla sella, guardando Erik Fendor negli occhi, ed in quel momento capì: "Voi volete costituire un corpo scelto di combattenti… addestrati da un mago a sfruttare tutte le possibilità della loro mente… per utilizzare le loro armi nella maniera più mortale possibile !!! ".
Fendor si limitò ad annuire, ma i suoi occhi si incollarono in quelli del mago.
"Per gli Dei, Fendor !!! …Chiunque al mondo possiede un minimo di capacità di raccoglimento interiore, ed un buon mago potrebbe… potrebbe… potrebbe farne delle macchine pressochè invincibili !!! ".
"Mi aiuterete, Lord Ravendel ? ".
" Rischierei di essere messo al bando dall'ordine dei maghi del Regno…come vi ho detto altre volte, molti di noi non vedono di buon occhio il fatto che conoscenze appartenenti al mondo della magia vengano divulgate a chi mago non è… e non lo diverrà mai ".
"Voi mi avete appena detto che chi non ne ha le potenzialità innate, non potrà mai divenire uno di voi…, mai io non vi chiedo di creare dei maghi: vi chiedo di addestrare dei combattenti ad utilizzare al meglio la propria mente".
"Io capisco la differenza: d'altra parte, i maghi non possono essere creati. Viceversa, molti uomini che non riuscirebbero mai a divenire dei maghi possiedono però la capacità di affinarsi mentalmente come combattenti, sotto la giusta guida. Il problema è che molti del mio ordine non sapranno, o non vorranno, cogliere questa differenza".
"Mi aiuterete, Lord Ravendel ? " - chiese nuovamente Fendor.
Il mago abbassò la testa, tirando le redini ed arrestando improvvisamente il cavallo. Restò silenzioso per alcuni secondi, scoppiando poi a ridere fragorosamente." Il mio maestro, gli Dei lo abbiano in gloria, mi ripeteva spesso che mi sarei cacciato nei guai, prima o poi, grossi guai. Credo che in fondo la sua predizione sia destinata ad avverarsi ".
"Questo vuol dire che accettate di condividere la mia impresa ? ".
"Questo vuol dire che sono d'accordo sul fatto che ci dobbiamo recare ad Esperia, chiedere udienza al Re ed esporgli le nostre idee. Se il Re approverà, allora, Fendor, addestrerò io stesso i vostri guerrieri ".
"Se l'idea andrà in porto, gli Imperiali avranno una brutta sorpresa, ve lo assicuro ".
"Comincio ad esserne convinto anch'io…" replicò, sempre sorridendo, il mago.
D'istinto, Fendor si allungò sulla sella e gli porse la mano. Ravendel la guardò, e la strinse.

*      *      *

Un mese dopo …

Lewin provò nuovamente a percuotere i battenti della pesante porta in legno di quercia, ma anche questa volta non ottenne alcuna risposta.
Il giovane arretrò di alcuni passi, sollevando lo sguardo: la torre era una costruzione massiccia, a pianta quadrata, costruita su tre livelli. Il lato misurava circa venti passi, mentre i merli dell'ultimo piano distavano da terra almeno quindici braccia. Del fumo grigio si alzava da un paio di camini, perdendosi nell'aria limpida, e ciò non poteva che suggerire che la torre fosse abitata.
Perché non aprivano ?
Lewin provò a gridare.
Il pensiero di aver fatto una cavalcata inutile fino alle terre del sud, alla ricerca di una torre sperduta sulla costa del grande Oceano, gli piombò all'improvviso in mente.
No, non era possibile che Ravendel si fosse sbagliato. Un mago non si sbaglia, quando parla di un altro mago.
Lewin restò incerto sul da farsi; la cavalcata fino a quella lontana penisoletta era stata per il giovane un crescendo di entusiasmo e di euforia. Si era lasciato alle spalle una guerra ed i suoi orrori; aveva attraversato terre per lui nuove, con le imponenti montagne che pian piano lasciavano il posto a dolci colline e a distese di campi coltivati, a comunità prospere e popolose. Le folte foreste di conifere ad alto fusto erano state infine sostituite da macchie di pini marittimi, i turbolenti torrenti di montagna da ampi e tranquilli fiumi dal lento corso, sui quali Lewin aveva anche navigato, guadagnando giorni e giorni di viaggio. Sbarcando da una delle grandi chiatte che discendevano questi fiumi, aveva visto per la prima volta una grande città, Tirpitz, brulicante di gente indaffarata ed allegra, sorprendentemente dimentica del fatto che ci fosse una guerra in corso.
Da Tirpitz la torre distava meno di due giorni di viaggio a cavallo, ed il giovane li aveva percorsi quasi tutti al galoppo maturando dentro di sé la convinzione di essere ormai vicino alle risposte che cercava. Finalmente era giunto di fronte a quella porta, sicuro che la sua vita sarebbe presto cambiata nuovamente.
Perché nessuno apriva quella maledetta porta ?

*      *      *

Sponda settentrionale del fiume Iprin…

Il Conte Gotrek era schiumante di rabbia. Dall'alto di una collina dominante il largo corso del fiume, aveva appena assistito al massacro di quattro delle sue divisioni. Il tentativo di attraversare le acque del fiume con un'ondata di quasi centocinquanta imbarcazioni piccole e grandi, stipate di fanti imperiali, si era infranto contro la violentissima reazione dell'Esercito Reale.
I nemici non si erano limitati a tirare frecce e dardi dai ripari delle fortificazioni, ma avevano assalito i fanti imperiali, non appena sbarcati, con una violentissima carica, in cui avevano impiegato l'intera cavalleria disponibile.
Le acque del fiume erano ormai rosse del sangue di migliaia di soldati, ed i pochi superstiti stavano faticosamente tentando di riguadagnare a nuoto la riva settentrionale del fiume. Tra di loro, diversi affogavano trascinati dal peso delle armature che non erano riusciti a sfilarsi.
Il Conte strinse le mani a pugno, serrando ancor di più le mascelle.
Una voce alle sue spalle ruppe l'irreale silenzio che era caduto ormai da diversi minuti sul piccolo gruppo di uomini sulla collina, lo Stato Maggiore del Comandante Imperiale.
"Siete contento finalmente, Conte ?? Avete ottenuto ciò che volevate? " - La profonda e inconfondibile voce del Generale Herman, il Comandante della Prima Divisione di Cavalleria Imperiale, lo fece sobbalzare. Gotrek si voltò con un ghigno omicida, ma il vecchio soldato proseguì imperterrito.
" Ve lo avevamo raccomandato tutti! Avremmo dovuto attaccare molto più ad ovest, dove le rive del fiume erano più strette! Le nostre balestre avrebbero potuto battere l'intera riva nemica, ed i nostri fanti sarebbero stati coperti durante lo sbarco. Invece no !! Voi avete voluto attaccare qui, dove il fiume è largo almeno duecento passi, e le nostre balestre pressochè inutili !! " - l'amarezza nel tono della voce del Generale si mescolava al rimpianto che l'Ufficiale provava per il vecchio Comandante, il Duca Whilhem, che non avrebbe certo commesso un simile errore.
"Vi ho già detto, Generale, che non potevamo permetterci di perdere altri giorni "- La voce di Gotrek si ridusse ad un sibilo minaccioso - "l'autunno è vicino, e presto saremo a corto di rifornimenti. Dovevamo sfondare, e subito. Non andare in giro a cercare guadi per signorine !!!".
" Guadi per signorine, voi dite !!! Ecco quattro Divisioni totalmente massacrate !!! E le altre cinque che ci rimangono sono completamente demoralizzate ! Questa è la fine, Gotrek !!! La fine di questa maledetta campagna e dei tuoi sogni di gloria !!! " - il generale urlò queste ultime parole con quanto fiato aveva in gola, e qualcosa scattò nella mente del Conte.
Con un unico movimento, Gotrek sguainò la lunga spada e tirò un ampio fendente alla testa del generale.
L'Ufficiale però, dimostrando una velocità di riflessi insolita per un uomo di oltre cinquanta anni, piegò il busto all'indietro, schivando il colpo, e sollevò a sua volta la scure da battaglia, vibrando poi un colpo in diagonale verso il fianco del Conte.
Gotrek, per quanto trascinato dalla sua stessa furia, era ugualmente un ottimo guerriero: con la pesante elsa della spada intercettò l'asta della scure che scendeva su di lui, deviandola verso l'esterno, ed un attimo dopo affondò la spada con la punta all'altezza della gola del Generale.
Probabilmente non intendeva ucciderlo, era solo accecato dalla rabbia. La spada però attraversò senza fermarsi il collo del Generale esattamente un pollice sopra la corazza d'acciaio, ed il vecchio soldato si accasciò al suolo come una marionetta senza fili. Ben presto l'erba intorno a lui cominciò ad impregnarsi del suo sangue, che usciva a fiotti dal corpo senza vita.
"C'è qualcun altro che desidera darmi consigli di strategia militare!!??" - si voltò come una belva il Conte, rivolto agli esterrefatti presenti, con la spada insanguinata in pugno.
Sapeva che il suo grado e la sua parentela con l'Imperatore lo avrebbero protetto dalle dirette conseguenze del duello appena avvenuto, ma le espressioni sui volti che lo stavano fissando fecero finalmente atterrare in lui la consapevolezza che quella sfortunata campagna militare era terminata nel peggiore dei modi.

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Lewin Talamor aguzzò gli occhi; sulla spiaggia davanti alla torre, vicino ad un gruppo di scogli incrostati di alghe, si stagliava una figura nera, immobile. Solo lo svolazzare del mantello sotto la brezza marina conferiva un po' di movimento alla sagoma umana, di spalle rispetto alla riva, fissa verso l'immensità dell'Oceano.
Il giovane, tenendo il cavallo per le redini, discese il sentiero che dalla torre portava in mezzo ai cespugli spinosi fin sulla sabbia, avvicinandosi alla figura.
Lo sconosciuto infine spinse all'indietro il cappuccio del mantello, senza voltarsi, scoprendo una lunga capigliatura bianca che ondeggiava nel vento.
Avvicinandosi, Lewin notò che si trattava di un uomo molto alto, più alto di lui di tutta la testa. Ma non poteva notare null'altro: lo sconosciuto continuava a mostrargli le spalle, fissando l'Oceano.
Quando infine il giovane fu a meno di dieci passi da lui, sulla spiaggia, sempre senza voltarsi, l'uomo disse:
" Ti stavo aspettando, Lewin Talamor ".

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