DIECI ANNI DOPO...

Capitolo VII - L'attacco


Esperia, la capitale del regno di Dremlund, era una grande e prosperosa città: contava quasi quarantamila abitanti, per lo più dediti al commercio ed al funzionamento dell'apparato burocratico del Regno.
Una serie di difese naturali proteggevano le fortificazioni difensive erette dall'uomo: nei secoli della storia conosciuta, nessuno era mai stato in grado di conquistare Esperia.
La città era stata costruita su un altopiano addossato a una serie di piccole montagne infide, che circondavano completamente l'altopiano a sud e parzialmente ad est e ad ovest. Benchè non fossero alte o spaventose come i monti Uroni o Imani, erano incredibilmente ripide. La loro parete rocciosa esposta a nord, sull'altopiano, era quasi verticale e nessuno era mai riuscito a discenderla. Perciò la città era ben protetta alle spalle, e non era mai stato necessario costruire delle difese a sud.
L'altopiano su cui Esperia era stata edificata aveva un diametro di poco superiore alle cinque miglia, e le sue pareti raggiungevano scendendo a strapiombo le pianure che si allargavano a perdita d'occhio verso il fiume Firen. Il fiume costituiva in realtà una prima linea di difesa contro un'invasione da nord, ed un nemico che fosse riuscito ad attraversarlo approdando sulle pianure, si sarebbe immediatamente trovato ad affrontare le pareti ripide dell'altopiano, che potevano essere difese dall'alto.
La principale via d'accesso alla città era una rampa di ferro e pietra, congegnata in modo tale da poterla far crollare togliendo i pioli dei principali supporti.
Ma anche se il nemico fosse riuscito a raggiungere la sommità dell'altopiano e quindi a conquistare un caposaldo, si sarebbe trovato ad affrontare la terza linea difensiva: a meno di duecento passi dal crinale dell'altopiano, cingendo l'intera città in un semicerchio le cui estremità poggiavano contro i fianchi delle montagne che proteggevano il lato sud, si ergevano le temibili Mura Esterne, costruite con grandi blocchi di pietra saldati insieme con la calce e levigati in modo da impedire a chiunque di arrampicarvisi sopra.
Si alzavano per circa trenta braccia nel cielo, massicce, torreggianti, impenetrabili. In cima alle mura erano stati costruiti bastioni per gli uomini che avrebbero combattuto dall'interno, irti di feritoie per arcieri.
Proprio all'interno delle Mura Esterne era acquartierata la Sacra Legione, il corpo scelto di guerrieri, denominati Paladini, istituito solo pochi anni or sono per volere del Re. La Legione occupava una serie di caserme, alternate a costruzioni utilizzate per immagazzinare rifornimenti ed armi.
Ad una certa distanza dalle caserme, dai magazzini e dal terreno per le esercitazioni, si ergeva un secondo muro di blocchi di pietra, che separava i quartieri militari dalla città vera e propria. All'interno del secondo muro, lungo le stradine tortuose e pulite della città si affacciavano le case e le botteghe della popolazione urbana di Esperia. La città si allargava per gran parte dell'altopiano, arrivando dalla seconda cinta di mura fin quasi alle montagne che segnavano il lato sud.
In questa parte più lontana della città era stato costruito un terzo muro, basso, che delimitava lo spazio intorno agli edifici governativi e al palazzo reale, completato da un'arena per le assemblee pubbliche e da parchi rigogliosi.
Gli alberi ombrosi dei parchi che circondavano il palazzo offrivano l'unico ambiente boscoso sul terreno piatto e aperto dell'altopiano. Il terzo muro non era stato costruito per scopi difensivi, ma come linea di demarcazione, sorgendo intorno al territorio governativo riservato al Re e ai parchi aperti a tutta la popolazione.
Quella notte le possenti Mura Esterne e le alte torri merlate erano chiaramente visibili a grande distanza, illuminate dal chiarore della luna piena. L'umidità della notte, condensandosi in una leggera nebbiolina bassa, aggiungeva un tocco di irrealtà al maestoso profilo di Esperia, conferendogli un'aria quasi fiabesca, e circondava di aloni luminosi i fuochi accesi dalle sentinelle di guardia sulle Mura, sulle pendici dell'altopiano e sulla strada che nella pianura conduceva al fiume Firen.
I soldati di guardia sapevano che nessun esercito imperiale si trovava a meno di centinaia e centinaia di miglia da Esperia, ma non per questo venivano meno ai loro doveri: il rischio di imbattersi in spie e sabotatori nemici, in movimento di notte per infiltrarsi nella capitale, non poteva essere escluso del tutto.
Nonostante il loro generoso impegno, però, le sentinelle reali non potevano assolutamente accorgersi dell'ombra nera in volo nella notte, con le ali membranose che scivolavano silenziose nell'aria gelida ad almeno cento braccia di altezza.
Le difese di Esperia erano imponenti, ma nulla potevano per fermare chi arrivava dal cielo: l'ombra sorvolò le postazioni delle sentinelle ed i vari corpi di guardia, dirigendosi indisturbata verso la parte più interna della capitale, in direzione del palazzo reale.

*      *      *

Sir Ravendel era soddisfatto, molto soddisfatto; il lavoro e l'impegno profuso nei nove anni precedenti stava dando i suoi frutti: i suoi uomini, i Paladini della Sacra Legione, stavano iniziando a far pendere l'ago della bilancia di quella interminabile guerra a favore del Regno, finalmente.
Era un cambiamento quasi impercettibile, ma si avvertiva comunque una crescente pressione delle forze reali lungo tutti i confini con l'Impero di Argan, una pressione che, continuando ad aumentare con il ritmo dei mesi precedenti, avrebbe prima o poi sfiancato le truppe imperiali, costringendole prima a cedere terreno, poi a ritirarsi disordinatamente in massa, una volta terminate le riserve strategiche.
Uscendo dalla fitta volta scura degli alberi del parco, il mago alzò lo sguardo sulla facciata del palazzo reale di Esperia; lungo tutta la balconata, in corrispondenza del salone delle udienze, le finestre illuminate dai fuochi all'interno del salone irradiavano una luce calda e allegra.
Quella sera il Re avrebbe nominato dieci nuovi Cavalieri del Regno per meriti di guerra: neanche a dirlo, nove di essi appartenevano alla Legione Sacra.
L'astuta idea di Erik Fendor, dieci anni prima, si era rivelata ben più efficace di quanto nessuno avrebbe mai pensato: addestrando un'élite di guerrieri, con un certo grado di capacità mistiche, al combattimento in condizioni sovrannaturali di concentrazione, lui e Fendor avevano creato un corpo di combattenti più forti, più veloci, più resistenti, più astuti, più implacabili e più mortali di qualsiasi altro essere umano.
Non erano maghi in senso stretto: solo un uomo su decine di migliaia aveva le qualità innate per operare dei veri incantesimi; lui e Fendor, però, avevano scoperto che circa un uomo su cento aveva la capacità latente di concentrazione mistica, in grado di portarlo, sotto una guida esperta, oltre le possibilità dell'uomo comune.
Fendor inoltre aveva intuito che i Paladini, oltre che combattenti formidabili, sarebbero stati degli ottimi comandanti militari: il loro coraggio, la loro astuzia, il loro sangue freddo, l'incredibile perizia con ogni tipo di arma li avrebbero trasformati nella leggenda di ogni reparto militare: nel "Comandante perfetto".
Per questo motivo, infatti, i Paladini non erano stati impiegati in unità omogenee, sicuramente formidabili ma in numero limitato per cambiare l'andamento della guerra: erano invece stati investiti del comando degli squadroni e delle milizie in tutti i settori del fronte, determinando così uno sbalorditivo incremento delle capacità di combattimento degli uomini e delle unità di cui erano a capo. Non di rado, uno squadrone di cavalieri capitanato da un Paladino era stato in grado di fronteggiare e sconfiggere quattro o cinque squadroni imperiali in campo aperto, e tali risultati si andavano generalizzando.
Attraversando l'ampio portale che introduceva all'interno del palazzo reale e dirigendosi verso il salone delle udienze per l'inizio della cerimonia di investitura, Sir Ravendel non potè fare a meno di sorridere per l'intima soddisfazione.
Un attimo dopo il sorriso gli morì sulle labbra: una strana sensazione di disagio, di allarme, si fece strada nella sua coscienza.

*      *      *

L'ombra scura nel cielo limpido calò con un sibilo sinistro sul palazzo, posandosi lentamente su una delle sue guglie più alte.
Nel buio, i suoi occhi fiammeggianti scrutarono il paesaggio sottostante, alla ricerca delle guardie, prima di iniziare la discesa lungo la parete del palazzo fino alle finestre del salone delle udienze.

*      *      *

Sir Erik Fendor era già all'interno del salone, nel quale la gente si andava addensando; i dieci nuovi Cavalieri del Regno, in attesa dell'investitura definitiva, erano schierati ai piedi della breve scalinata sormontata dal trono, ancora vuoto, del Re.
Tra le dieci figure in armatura, con un pennacchio di piume nere sull'elmo dalla visiera sollevata, di spalle rispetto a Fendor, si trovava quello che il nobile Duca Erik Fendor considerava, nonostante la giovane età, il migliore tra i Paladini della Legione Sacra.
I circa ottocento Paladini di cui la Legione si componeva erano combattenti forti e duri, ma la figura dalle piume nere era un caso speciale: forse sarebbe addirittura potuto divenire un mago, aveva detto Ravendel notandolo durante l'addestramento mistico, ma egli aveva fermamente voluto continuare la formazione come Paladino, proponendosi di diventare il migliore fra tutti.
Due anni prima era stato inviato al fronte al comando di uno squadrone di cavalleria pesante, con il quale aveva imperversato sulle forze imperiali fino a divenire una specie di leggenda: "Gli Immortali" era diventato il nome del suo squadrone, e " l'Immortale " il suo soprannome personale.
"Con guerrieri così " - aveva commentato personalmente il Re decidendo per l'investitura dell'Immortale a Cavaliere del Regno - " forse questa guerra avrà finalmente termine ".

*      *      *

Fendor e Ravendel, entrambi insigniti del titolo di Duca del Regno per merito della loro opera di formazione della Legione, si trovavano ai lati del trono insieme agli altri nobili. Nel momento culminante della cerimonia, Re Pallador tracciò nell'aria, con la spada, il sacro segno degli Dei al di sopra dell'elmo del primo cavaliere inginocchiato ai piedi della scalinata, quello con le piume nere e la visiera ora abbassata.
Fendor si voltò per incontrare lo sguardo dell'amico mago, ma vide il suo volto assente e, se possibile, preoccupato.
A cosa stava pensando ?

*      *      *

L'ombra irruppe all'interno del salone mandando in frantumi una delle grandi finestre. Con un ruggito selvaggio, il Demone si lanciò verso il trono del Re, falciando con le mani artigliate la folla di cortigiani, piccoli nobili e servitori radunati nella sala.
Il panico si diffuse in un attimo, alla vista del turbine nero che si avvicinava a lunghi balzi lasciando dietro di sé una striscia di corpi straziati ed insanguinati. La gente che affollava il salone si gettò urlando ed incespicando l'uno sull'altro verso i portoni laterali, lasciando vuoto lo spazio davanti al trono dello stupefatto Re Pallador.
Solo i nove Paladini reagirono con la rapidità di un fulmine: si disposero a semicerchio intorno al Re, con le armi in pugno. Sfortunatamente, le loro armi erano pesanti spade ingioiellate da cerimonia, dono personale del Re, dalla punta e taglio poco affilati ed assolutamente inadatte ad un vero combattimento. Solo l'Immortale si era presentato alla cerimonia con la propria scure da battaglia, rifiutando il dono della spada e rischiando di offendere il Re. Ora si sistemò proprio davanti al suo sovrano, sbarrando la strada al Demone avanzante e sollevando la scure all'indietro.
Quando l'essere raggiunse la scalinata, gli altri Paladini si lanciarono coraggiosamente all'attacco, brandendo ugualmente le inutili spade: i fendenti rimbalzarono però sulla pelle della creatura, i cui violenti colpi di artiglio si fecero ben presto largo tra gli attaccanti. Alcuni di essi, tre o quattro, si ritrovarono con l'armatura squarciata ed il ventre straziato, o la testa staccata di netto dal collo. Altri riuscirono a schivare o deviare parzialmente le zampate, salvandosi la vita ma fallendo il tentativo di fermare il Demone.
La creatura arrivò a pochi passi dal sovrano di Dremlund. Si era liberata con colpo di artiglio di un Paladino particolarmente resistente quando, voltandosi verso il Re, si accorse che l'Immortale stava calando la sua arma su di lui.
Il guerriero aveva caricato il colpo con tutta la sua inaudita potenza, aumentata dal sovrannaturale potere sul suo stesso corpo che la concentrazione gli consentiva; la scure, voltata dalla parte del grosso spuntone di acciaio temperato ed impugnata a due mani, si abbattè diagonalmente nel petto del Demone.
L'Immortale, nel freddo vuoto della sua coscienza, registrò il messaggio che gli proveniva dai muscoli delle spalle. Il contraccolpo dell'impatto percorse poi tutti i muscoli del suo corpo, fino a quelli delle gambe che aveva caricato ruotando sul tronco.
Un colpo simile avrebbe spedito a terra un bue, ma il Demone era ancora lì, in piedi. Gli occhi dell'Immortale, in una frazione di secondo, registrarono però che la punta d'acciaio era penetrata per alcune dita nel petto della creatura, dal quale stava uscendo un fiotto di denso sangue nero.
Non c'era tempo per gli autocompiacimenti, comunque: per l'Immortale, la lotta era appena cominciata.

*      *      *

Il Demone non poteva credere a ciò che era appena successo.
Chi erano questi strani umani in grado di opporsi a lui ?
Erano riusciti anche a ferirlo: non in maniera mortale, ma comunque abbastanza seria. Doveva affrettarsi ad uccidere il Re, e poi volare via nella notte. Con una zampata del braccio destro tentò di artigliare il guerriero che lo aveva ferito, ma questi si mosse più velocemente di quanto un umano avrebbe potuto fare e riuscì ad evitare il colpo.
La creatura non poteva usare appieno i propri poteri psichici sui guerrieri, a causa della presenza, dietro al Re, di un mago che lo costringeva a mantenere una barriera mentale difensiva.
Il Demone si fermò un attimo, concentrando tutto il suo potere sulla mente del mago, irrompendo nelle sue difese e colpendo la sua coscienza: un istante dopo il mago cadde al suolo privo di sensi.
Non si era trattato di un vero Druido, riflettè la creatura, voltandosi per affrontare nuovamente lo strano guerriero umano che lo aveva colpito in precedenza.
Libero di usare i propri poteri psichici, lo avrebbe ucciso immediatamente, eliminando poi il Re e ultimando il compito che gli era stato assegnato.
Quando si voltò, però, si accorse che il guerriero non era dove avrebbe dovuto essere. Nella frazione di secondo in cui il Demone aveva attaccato il mago Ravendel, il guerriero si era portato alle sue spalle ed aveva sollevato nuovamente la sua arma. Con la testa rivolta all'indietro, il Demone lanciò lo sguardo oltre la propria ala scura e fissò l'Immortale negli occhi.
Incredibilmente, l'umano deviò il suo attacco psichico per un lungo istante, quello che bastava per calare la propria arma.

*      *      *

L'Immortale sentì la sua mente esplodere ma, con uno sforzo supremo, riuscì ad ordinare al suo corpo di continuare i movimenti che il cervello aveva ordinato: lo spuntone di acciaio della scure si immerse nell'occhio destro della belva con la stessa violenza di prima, penetrando questa volta più in profondità. L'acciaio raggiunse nel cranio il cervello della creatura, e quello che era stato un Demone del Passato si abbattè morto sulla scalinata, esattamente ai piedi del Re.

*      *      *

Erik Fendor, in piedi accanto al Re con i suoi eleganti abiti nobiliari e con l'inutile spada cerimoniale in pugno, vide allibito il corpo del Demone mutarsi lentamente in pietra, in nera pietra polverosa.
Alle sue spalle, ai piedi della scalinata, l'Immortale cadde in ginocchio, tenendosi l'elmo tra le mani.
Anche il Re, fino a quel momento immobile con gli occhi spalancati, si accasciò con uno strozzato sospiro di sollievo sul grande trono di marmo bianco.
Nei pressi, Ravendel stava lentamente riprendendo conoscenza.
Abbassando finalmente la spada, in preda ad un turbine di emozioni in cui si mescolavano stupore, sollievo, paura ed incredulità, Fendor prima si assicurò che il Re Pallador fosse illeso, poi si chinò per aiutare Ravendel a rialzarsi in piedi.
Con il mago sottobraccio, malfermo sulle gambe, Fendor si voltò quindi di nuovo verso l'Immortale, il quale si stava proprio in quel momento risollevando da terra.
Con entrambe le mani, il guerriero si sfilò dalla testa l'elmo dalle piume nere, lasciando cadere sulle spalle i lunghi capelli biondi e rivelando il freddo volto di Alina Therin, una delle pochissime donne appartenenti all'ordine dei Paladini della Sacra Legione.
Quella sera, più di ogni altra volta nei suoi quasi trenta anni di vita, Alina Therin aveva fatto onore al suo appellativo: l'Immortale.

*      *      *

Lewin Talamor fissava il mare in tempesta, dall'alto di uno scoglio dominante la baia. Il vento imperversava con violente raffiche, muovendo veloci le nuvole cariche di pioggia e facendogli sventolare il mantello sui fianchi. Con il cappuccio abbassato, Lewin si trovò ben presto con il volto, la barba ed i lunghi capelli bagnati, ma l'uomo, immerso nei suoi pensieri, non sentiva né il vento, né la pioggia, né il freddo.
Il Maestro era scomparso.
Una scomparsa annunciata: più volte, in precedenza, era stato avvisato che il tempo della partenza del Maestro si stava avvicinando, e che presto si sarebbe ritrovato solo, ad aspettare.
"Solo, ad aspettare cosa ? " - aveva chiesto al Maestro.
" Una sensazione, o meglio, una consapevolezza: una vibrazione nella rete di forze che percorre l'Universo " - era stata la risposta.
Lewin sentiva che la vibrazione era iniziata, e che era venuto anche per lui il momento di partire.
Lewin si voltò e discese dallo scoglio, dirigendosi lungo la spiaggia verso il sentiero. Ad ogni passo, i suoi morbidi stivali di cuoio affondavano dolcemente nella sabbia bagnata. Giunto fin quasi all'imbocco del sentiero tra gli alberi, avvertì nei pressi la presenza aliena. Concentrandosi, mandò un pensiero di saluto, quasi un abbraccio mentale, e pochi istanti dopo, alla sua sinistra, al di sopra del rumore del mare in tempesta, echeggiò in risposta un lungo e cupo ululato.

*      *      *

Alcuni minuti dopo, giunto ormai davanti all'ingresso della torre, Lewin incontrò uno dei servitori, che ormai si rivolgevano a lui con il titolo di "Padrone", titolo in precedenza riservato solo al Maestro: "Preparate il mio cavallo ed i miei bagagli " - disse al servitore - "Partirò domattina all'alba".
Il servitore annuì con un inchino, non mostrando alcuna sorpresa.
Levandosi il mantello una volta all'interno delle spesse mura, Lewin ripensò nuovamente al Maestro, ed alla possibilità di non rivederlo mai più. "Forse sì, forse no…" - disse fra sé. Il Destino aveva ormai messo in moto gli eventi, e lui aveva il suo ruolo da svolgere.
L'indomani sarebbe partito, ed in un paio di settimane sarebbe giunto nella Capitale del Regno, Esperia.

*      *      *

Quindici giorni dopo…

Erik Fendor, nella grande sala delle udienze del palazzo reale di Esperia, stava fissando il blocco di pietra nera ai piedi della scalinata che portava al trono di marmo. Al suo fianco, l'Immortale commentò: "Mi sono dovuta procurare un'altra scure da battaglia; non è stato facile trovarne un'altra simile: era una buona arma".
Fendor sorrise: il blocco di roccia aveva conservato le fattezze del Demone, ed all'altezza del volto di pietra era ancora conficcata la possente scure dell'Immortale, immersa fino all'asta nell'occhio destro della creatura.
Il Re non aveva voluto che il blocco di pietra fosse rimosso. La mossa era stata saggia, siccome la testimonianza della sconfitta della strana creatura, di fronte agli occhi di chiunque entrasse nella sala, aveva molto contribuito a stemperare il timore che l'improvvisa apparizione aveva generato tra gli abitanti della Capitale.
"Ravendel pensa che … qualcosa … ritornerà, Alina" - disse Fendor a bassa voce. Erano ormai passati quindici giorni dall'attacco, ma il nobile non si sentiva affatto tranquillo.
"Lo penso anch'io"- replicò il Paladino - "Gli Inferi non si aprono per far passare una sola creatura. Qualcosa tornerà… per colpire di nuovo".
Poi continuò: "Adesso però siamo pronti. Re Pallador vive ormai con l'ombra di non meno di cinque Paladini sempre dietro le spalle, e le loro non sono armi da cerimonia, questa volta".
Fendor sorrise, ma non riuscì a scrollarsi di dosso tutti i suoi timori.

*      *      *

Lewin Talamor apprezzò la bellezza della capitale Esperia, ma si diresse comunque spedito verso il palazzo reale. Giunto al muro interno, smontò da cavallo e si avvicinò al corpo di guardia.
Il caporale e le cinque guardie di servizio lo squadrarono mentre si avvicinava: gli ordini sulla sicurezza erano diventati rigidissimi, ed ognuno doveva sottoporsi ad un accurato controllo prima di poter accedere al palazzo. Soprattutto uno straniero che, dalla polvere sugli abiti, doveva provenire da lontano.
"Mi chiamo Lewin Talamor, e sono amico di Sir Fendor e di Sir Ravendel. Ho bisogno di vedere il Re".
"Certamente signore" - rispose cortesemente il caporale, senza però cedere il passo - " Vi prego di scrivere un messaggio, che noi provvederemo a recapitare a Sir Fendor o a Sir Ravendel. Se vorrete passare nel pomeriggio, vi faremo sapere se uno dei due intende ricevervi".
"Non posso attendere, caporale. Abbiate la cortesia di avvisare i miei amici immediatamente: ho bisogno di vedere il Re, e subito".
"Mi sembra che non abbiate capito, signore. Non ci si può presentare qui ed essere semplicemente accompagnati da Re Pallador, soprattutto di questi tempi. Vi prego di scrivere un messaggio" - il caporale si piazzò quindi a gambe aperte davanti ai cancelli, posando con noncuranza la mano sull'elsa della spada. Gli altri soldati recepirono il messaggio, e cominciarono ad avvicinarsi lentamente.
"Capisco…" - replicò Lewin a bassa voce. I suoi occhi si incollarono quindi in quelli del caporale, ed il suo potere si liberò.
Pochi istanti dopo il caporale, con lo sguardo spento, si voltò ed ordinò ai suoi soldati di lasciar passare l'uomo all'interno. I soldati si guardarono, perplessi, ma nessuno arrivò a sospettare che il loro superiore fosse stato ipnotizzato.
Con passo svelto, Lewin si diresse lungo il viale alberato verso l'ingresso del palazzo reale.

*      *      *

Nello studio del Re nell'ala est del palazzo, per una riunione ristretta, si trovavano, oltre a Pallador, altre sette persone: i nobili Amerstin, Segretario del Re, Boltar, Capo di tutti gli Eserciti reali, Fendor, Ravendel, Alina Therin ed altri due Paladini quali scorta personale del Re.
Fuori dalla massiccia porta di rovere montavano la guardia altri due Paladini della Legione Sacra, come ulteriore misura di sicurezza.
L'Immortale si voltò verso la finestra, saggiando con lo sguardo la resistenza dalla pesante grata di ferro che la sbarrava. Sugli spalti dell'ultimo piano del Palazzo, drappelli di balestrieri vigilavano con l'ultima invenzione della Legione: gli scorpioni, una sorta di pesantissime balestre su ruote che sparavano dardi d'acciaio del peso di trenta libbre. Si sperava che fossero in grado di colpire e ferire qualsiasi Demone alato si fosse avvicinato alle finestre del palazzo.
La voce del Re interruppe i suoi pensieri: "Mi sembra evidente che, dopo aver preso tutte queste precauzioni, non sia il caso di soffermarsi ulteriormente sulla minaccia di questi strani esseri. Non si sono più fatti vedere, ma comunque un risultato lo hanno ottenuto: tutte le attività della Legione sono state sospese per presidiare la città. Non posso permettere che ciò continui: ho bisogno dei Paladini al fronte per guidare i miei soldati, non qui per difendere me stesso".
Sir Boltar, comandante delle Armate Reali, annuì vigorosamente: le truppe stavano vincendo, ma avevano bisogno di altri Paladini come comandanti.
Ravendel però chiese ed ottenne la parola: "Il vostro coraggio vi fa onore, Altezza. Ma non posso esimermi dall'esternare una mia profonda convinzione. Non so di preciso da dove derivi questa mia convinzione, ma sento che i Demoni torneranno ad Esperia, e presto. Le difese allestite non mi convincono del tutto, e non sono neanche sicuro che i miei Paladini siano in grado di reggere ad un attacco più massiccio".
"Cosa dovrei fare, allora ? "- domandò il Re.
"Forse andar via da Esperia: qui siete un bersaglio troppo in vist…"- un tremendo boato fece sobbalzare tutti sulle poltrone: la massiccia porta in rovere, divelta dai cardini, si abbattè sul pavimento all'interno della stanza, seguita dai corpi inanimati dei due Paladini di guardia.
L'Immortale e gli altri due guerrieri reagirono con prontezza, impugnando le armi e schierandosi a protezione del Re. Anche Ravendel si mosse, preparandosi a scagliare i suoi poteri magici sulla figura che stava entrando nello studio.
L'Immortale impugnava con la destra la scure, e con la sinistra un'ascia da lancio. I suoi sensi, acuiti nello strato di trance, avvertirono che l'avversario era in possesso di forti poteri mentali, ma che le sue energie si erano di molto impoverite dopo il violentissimo colpo vibrato in precedenza. Con un attacco improvviso e combinato, forse i Paladini ed il Mago avrebbero avuto la meglio.
In un attimo, l'Immortale sollevò l'ascia e prese la mira sulla figura mentre questa varcava la soglia. L'arma stava per lasciare la sua mano guantata, quando risuonò l'urlo di Ravendel: "Fermi!!! … per tutti gli Dei, Fermi!!!".
L'Immortale non seppe fermare la sua ascia, riuscendo solo a deviarla leggermente: la lama affilatissima roteò sibilando nella stanza, mancando la testa della figura per meno di un pollice, ed andando a conficcarsi nel muro alle sue spalle.
La figura restò immobile appena oltrepassata la soglia.
"…Lewin ?!… Lewin Talamor ??…" - mormorò Ravendel stupefatto.
Alina Therin, ancor più stupefatta, si rese conto che Ravendel conosceva il nuovo venuto.

*      *      *

" Il vostro ingresso è stato, a dir poco, …turbolento.."- commentò il Re Pallador, una volta che la calma venne ristabilita e la situazione tornò sotto controllo. I due Paladini, che non erano stati uccisi ma solo storditi, si trovavano nell'infermeria del corpo di guardia in stato confusionale, ma sostanzialmente illesi.
"Ne sono consapevole,…Altezza" - e Talamor pronunciò questa parola come se fosse una concessione - " ma non vedevo altro modo per arrivare direttamente a voi, ed essere ascoltato con attenzione ".
"Ebbene, adesso vi ascolto con attenzione"- replicò il Re con una nota di stizza nella voce - "dite ciò che dovete dire, e noi vi ascolteremo".
"Siete stato attaccato da una creatura misteriosa, un Demone. Sappiate che non sarà l'unico attacco, e neanche il più violento. Sappiate anche che, sebbene impieghi creature non umane, la mente che è dietro tutto questo è umana, ed è al servizio dell'Imperatore".
"E chi sarebbe questo umano, che comanda i Demoni per conto dell'Imperatore ?".
"Il nome che vi direi vi sarebbe sconosciuto, e non significherebbe nulla per voi"- replicò Lewin.
"Cosa dovremmo fare allora, secondo voi ? ".
"Vi dovete allontanare da Esperia. L'Imperatore ha molte spie in città, ed i suoi alleati sono sempre a conoscenza dei vostri movimenti. Fino ad ora, la vostra scorta vi ha facilmente difeso, ma con i Demoni è un'altra storia. Un solo Demone vi ha quasi raggiunto ed ucciso. Immaginate cosa possono fare due, o cinque, o cento Demoni.
Dovete partire, Altezza, e recarvi in un luogo che deciderete solo dopo la partenza: così sarà quasi impossibile trovarvi ".
"Mi state proponendo di scappare a nascondermi, come un vigliacco? ".
Fu Ravendel a rispondere: "Altezza, perdonate la mia franchezza, ma se voi venite ucciso e se i vostri sudditi vedono che neanche il loro Re è in grado di difendersi dall'Imperatore, questa guerra è persa".
Poi, per la prima volta, fu l'Immortale a chiedere di parlare:
"Altezza, supponiamo che i nostri nemici non dispongano di molte di queste creature. Una volta verificato il fallimento di un attacco diretto al vostro palazzo, una mossa intelligente sarebbe quella di mandare qualcuno da voi per tirarvi fuori da Esperia, per attaccarvi poi mentre siete in viaggio in terreno aperto, senza le mura di alcun palazzo o castello a difendervi".
Lewin scoppiò a ridere fragorosamente: "Devo desumere, Paladino, che voi mi accusiate di essere a mia volta un agente dell'Imperatore".
Alina Therin replicò senza scomporsi: "Sir Ravendel vi conosce. Ma quando vi siete salutati, pochi minuti fa, avete detto che non vi vedevate da dieci anni, e che il vostro maestro è scomparso. In questi dieci anni potrebbe essere successo di tutto" - concluse la donna-guerriero.
Lewin si rivolse al Re: "La scelta sta a voi, Altezza. Io, in ogni caso, ripartirò tra pochi giorni verso Nord. Se deciderete di partire, non viaggerei comunque assieme a voi: ho già la mia preda da inseguire ".
" L'umano dietro ai Demoni ? " - chiese Fendor.
Lewin non rispose, ma un leggero sorriso si disegnò sulle sue labbra.
"…Potrei fare un giro di ispezione alle unità lungo tutto il fronte "- pensò il Re ad alta voce - "… non so, ho bisogno di una notte per pensarci. Ci riuniremo qui domani, e vi comunicherò la mia decisione".
Ciò detto, Pallador si alzò e lasciò la stanza, seguito dagli altri.
Lewin si accodò a Ravendel, il quale gli aveva chiesto un colloquio privato. Lungo il corridoio, si trovò fianco a fianco con Alina Therin: "Siete forte, Talamor; avete messo fuori combattimento due Paladini, senza contare il fatto che siete riuscito ad arrivare inosservato fino allo studio del Re. Ma avete rischiato la vita: stavo per uccidervi, se non fosse stato per l'urlo del Duca Ravendel".
L'uomo si voltò e le sorrise: "Il mio Maestro avrebbe detto: siete davvero sicura che la vostra ascia sarebbe riuscita a colpirmi ?".
"A dire il vero… sì !! ".
"Allora devo ritenermi un uomo fortunato. Gioisci, Lewin Talamor: l'Immortale ha risparmiato la sua vittima!!".
Alina Therin, a stento, riuscì a reprimere l'istinto di colpirlo in pieno volto.

*      *      *