Capitolo VIII - Demoni


Quella sera, dopo cena, Fendor, Ravendel e Lewin si trovarono a passeggiare sugli spalti illuminati del palazzo, tra le sentinelle e gli armigeri che scrutavano il cielo buio dietro i loro micidiali Scorpioni.
"Dopo la comparsa di quell'essere, stavo giusto pensando di convocare il tuo Maestro, Lewin. Forse è l'unico in grado di ricostruire cosa ci sia dietro tutto questo. La tua venuta qui, sebbene turbolenta ed inaspettata, è stata quanto mai tempestiva".
"Il mio Maestro è… via. Non chiedermi dove o per quanto tempo: è stata una partenza annunciata, ma non mi ha detto nulla di più".
"Che cosa ne sai dei Demoni, Lewin ? Ricordo che, quando ci lasciammo, eri ossessionato da una presenza misteriosa… forse proprio uno di loro…".
"Niente che abbia a che fare con quanto sta succedendo adesso, caro Ravendel. Vorrei però esaminare i resti del Demone ucciso, nella sala delle udienze: potrebbero ancora esserci degli indizi".
Mentre discendevano le scale di pietra che portavano ai piani sottostanti, Erik Fendor non potè fare a meno di soffermarsi sui profondi cambiamenti che si erano verificati nel nuovo arrivato. Osservando i due Maghi di spalle, davanti a lui sugli scalini, balzava subito agli occhi che si trattava di uomini dallo stesso potere. Anzi Ravendel, che pure era ormai uno dei Maghi più forti del Regno, sembrava leggermente in soggezione nei confronti della figura ammantata che gli camminava al fianco, accompagnando il passo con un lungo bastone nero.
Giunti nella grande stanza del trono, trovarono una figura solitaria ritta di fronte al blocco di pietra dalla forma demoniaca, ai piedi della breve scalinata ricoperta di velluto rosso.
"Contempli i tuoi trofei, Immortale ? " - esordì Lewin avvicinandosi. Nonostante l'ironia delle sue parole potesse risultare sgradita, il suo sorriso era amichevole, e l'Immortale non si risentì.
"Prendo le misure per i prossimi combattimenti, Mago. Potrebbe non essere così facile, la prossima volta. Spero anche di non avervi tra i piedi, in una tale occasione: potrei non riuscire a proteggervi…".
Lewin scoppiò in una sincera risata, concludendo con un "Onore ai Paladini del Regno !!!". Anche Ravendel e Fendor si scambiarono un sorriso, avvicinandosi al corpo che era stato del Demone.
Lewin si inginocchiò: la creatura era caduta all'indietro, e nella morte il suo volto era rimasto levato verso l'alto, con la scure spaventosamente conficcata in profondità nel cranio.
Il Mago fece scorrere la mano guantata sul massiccio collo dell'essere, soffermandosi su una piccola protuberanza proprio al centro della gola; il gesto non sfuggì a Ravendel, che si fece più vicino.
"Vedi questo rigonfiamento ? E' di una sostanza diversa dalla roccia in cui si è trasformato l'essere in punto di morte".
Ravendel annuì: "E' sempre scuro, ma sembra riflettere la luce, come un piccolo cristallo nero…".
"Cosa potrebbe significare ? " - si inserì Fendor.
"Che il Demone portava uno strano cristallo incastonato nella gola"- concluse Lewin.
L'Immortale fissò il Mago negli occhi: "E allora ? ".
"I Demoni non portano gioielli o amuleti. Non hanno alcun valore per loro".
"Forse si tratta di un oggetto magico" - propose Fendor.
"I Demoni non portano oggetti magici, e comunque, se lo era prima, ora non lo è più: non sento nulla provenire dal cristallo".
"Neanche io…"- confermò Ravendel.
"Sembra che sappiate molte cose sui Demoni"- commentò l'Immortale - "Anche come vanno agghindati… Mi domando di quante cose intendete tenerci all'oscuro, e per quanto tempo, e perché… ".
Tre coppie di occhi indagatori si fissarono sul volto del Mago mentre si rialzava, facendo leva sul bastone ricoperto di cuoio nero, ma le sue parole furono evasive: "Ne so meno di quanto vorrei saperne, e più di quanto è opportuno che voi ne sappiate. Non prendertela, Ravendel, ma ho bisogno di riflettere e di scoprire qualcosa d'altro, prima di parlare".
Lewin si diresse quindi verso le porte. Lo accompagnarono le parole di Alina Therin: " Spero che gli scopi che perseguite siano identici ai nostri, Mago. Altrimenti i vostri peggiori nemici potrebbero non essere i Demoni ".

*      *      *

Il giorno dopo, nella grande sala dei banchetti, il Re tenne un pranzo d'onore per festeggiare i nuovi Cavalieri del Regno che partivano verso il fronte. Ognuno di essi, sopravvissuto all'attacco del Demone, avrebbe assunto il Comando di un Reparto Reale nella lunga guerra contro gli Imperiali.
Alina Therin avrebbe ripreso il comando dei suoi "Immortali", promossi dal rango di squadrone a quello di reggimento di cavalleria pesante, e triplicato nei suoi effettivi.
Nel salone i lunghi tavoli erano disposti in maniera perpendicolare a quello sontuoso a cui sedeva il Sovrano, lungo la parete nord e di fronte alle finestre dalle ampie vetrate; un totale di circa trecento persone tra nobili, guerrieri e cortigiani riempiva la grande sala dall'alto soffitto.
Lewin Talamor, seduto al tavolo del Re assieme a una trentina di nobili, di fronte al mago Ravendel, mangiava di gusto una portata dopo l'altra; il pranzo era ricco e ricercato: seppioline farcite, uova di quaglia, olive ripiene di carne, piccole anguille affumicate, ostriche e granchi trasportati vivi in un carro con vasca da un porto sulla costa, gamberetti in cremosa salsa all'aglio, l'olio d'oliva più raffinato, pane croccante appena uscito dal forno, agnellini e galletti arrosto, una miriade di verdure cucinate con pinoli o aglio o formaggio sminuzzato, cervo arrosto in salsa al pepe, salami di cinghiale, pazientemente rivestiti con strati di miele diluito in acqua e grigliati in modo che non bruciassero.
Alina Therin, seduta allo stesso tavolo del Re ma all'altra estremità, non potè fare a meno di notare che quella era un'altra caratteristica che differenziava Lewin Talamor dagli altri maghi: di solito essi mangiavano poco, quasi con svogliata condiscendenza nei confronti dei bisogni del proprio corpo, mentre Talamor sembrava avere un insaziabile appetito.
Due servitori si avvicinarono al tavolo con un grande vassoio, sul quale troneggiava un maialino arrosto, bruno e croccante.
Si fermarono alle spalle del Re, liberando una parte del tavolo dalle portate precedenti e posando il vassoio alla sinistra del Sovrano. Uno dei due quindi, servendosi di un forchettone e di un lungo coltello dai manici di corno, iniziò a tagliare spesse fette di succulenta carne di maiale, servendo con delicatezza le prime parti direttamente nel piatto del Re Pallador.
Alina cominciò a chiedersi quante ne avrebbe mangiate Talamor, quando un movimento più rapido del normale catturò la sua attenzione: il servitore, cercando di nascondere il gesto, cambiò impugnatura sul coltello da cucina, prendendolo con la lama in basso e l'impugnatura verso l'alto; dopo di che, voltandosi con un movimento fluido verso il Sovrano e levando il braccio in alto, tentò di vibrare un colpo dall'alto in basso, verso il petto del Re Pallador, prima che le due guardie alle sue spalle avessero il tempo di intervenire.
L'Immortale scivolò in uno stato di trance: i suoi occhi osservarono al rallentatore la lama affilata del coltello che calava verso il petto del Sovrano, ma già la sua mano destra aveva trovato uno dei pugnali sotto la cintura e lo aveva scagliato attraverso il tavolo.
Il pugnale volò appena al di sopra delle teste dei commensali con la velocità di una freccia, e prima che il coltello da cucina avesse percorso metà della sua traiettoria, l'arma dell'Immortale si conficcò profondamente nella nuca del servitore.
Mentre usciva dallo stato di trance, il guerriero notò però che la testa del servitore aveva sussultato in modo strano, in conseguenza del colpo: come se fosse stata colpita una seconda volta, subito dopo.
Mentre il corpo del traditore si accasciava su sé stesso, fu raggiunto da altri due pugnali nella schiena, lanciati da altri Paladini, ed infine si abbattè ai piedi del Re, sotto le spade ormai sguainate delle due guardie.
Dimostrando grande coraggio e sangue freddo, Pallador non fece una piega mentre le guardie allontanavano il cadavere: "Ragazzo "- disse all'altro servitore, immobile con gli occhi sgranati - " vuoi continuare a servire il tuo Re o vuoi farlo aspettare ancora ?".
L'Immortale, che si era nel frattempo precipitato verso Pallador, si arrestò per esaminare il cadavere che veniva trascinato via per i piedi, a faccia in giù, in tutta fretta. Molti nella sala non si erano addirittura accorti di niente, ed il Re voleva evidentemente continuare il pranzo ufficiale come se niente fosse successo. Prima che il corpo fosse portato oltre le spesse tende di velluto rosso verso le cucine, Alina estrasse il proprio pugnale dalla nuca della spia e voltò il viso del cadavere verso l'alto: un altro pugnale molto più piccolo del suo, di appena cinque o sei pollici di lunghezza, era conficcato nella fronte dell'uomo. Doveva aver colpito appena un istante dopo il suo, e non era quello di un Paladino.
Con un gesto brusco, Alina lo estrasse dalla fronte del traditore e lasciò che lo portassero via, dietro le tende.
Poi, prima di risedersi, girò intorno al tavolo e si avvicinò a Lewin Talamor.
"Credo che questo sia vostro, non vorrei che lo perdeste " - disse porgendogli il piccolo pugnale.
"Molto gentile da parte vostra, Immortale. Ero quasi sicuro che fosse inutile lanciarlo, data la vostra presenza al tavolo, ma non si sa mai: con la vita del Re non si scherza, e ho preferito non lasciare a voi solo la responsabilità di reagire in tempo utile.
A proposito, i miei complimenti per i vostri riflessi e la vostra mira" - concluse Lewin con un sorriso, nascondendo il pugnale all'interno della manica.
Quel sorriso irritava Alina più di un insulto: "Grazie, Mago. Naturalmente, voi non conoscevate quell'uomo, e non sapevate nulla delle sue intenzioni…".
"Naturalmente…" replicò il Mago, mostrandosi ostentatamente sorpreso - "…e voi ? ".
"Continuate il vostro pranzo, Talamor. Parleremo dopo"- concluse l'Immortale, allontanandosi per riprendere il suo posto al tavolo.

*      *      *

Quella sera, nello studio privato del Re Pallador, l'atmosfera non era delle migliori.
" Ho deciso di partire " - annunciò con un sospiro il Sovrano ai presenti, gli stessi della riunione del giorno precedente.
" Annuncerò domani la mia intenzione di partire per un giro d'ispezione presso le Divisioni al fronte, senza specificarne né la durata, né le tappe. Spero che il mio misterioso nemico, che gli Dei lo fulminino, abbia più difficoltà a trovarmi e a spedirmi i suoi sicari, umani o Demoni che siano ".
Sir Boltar, Capo di tutti gli Eserciti reali, manifestò la sua approvazione: "Gli uomini al fronte apprezzeranno la vostra venuta, Sire".
"Certo, ma questo non cambierà la mia partenza da ciò che realmente è, cioè una fuga " - replicò Pallador.
L'Immortale sorrise, rendendosi conto di quanto l'orgoglioso Re di Dremlund si sentisse punto nel suo onore, nell'abbandonare il castello per sottrarsi alle minacce.
"A proposito " - riprese il Sovrano - "Dov'è Talamor ? ".
"L'ho fatto convocare per la riunione "- rispose il suo Segretario, Sir Amerstin - " a quest'ora dovrebbe essere già qui ".
L'Immortale percepì un'ombra attraversare i margini del suo campo visivo, in corrispondenza di uno degli angoli bui dello studio reale, grande, sontuoso ma dal fondo fiocamente illuminato.
Istantaneamente all'erta, il guerriero esplorò con lo sguardo le pareti più lontane della sala, solo per constatare che nulla interrompeva il profilo dei muri carichi di arazzi. Gli altri due Paladini, rigidi accanto all'ampia finestra sbarrata dalle grate, si accorsero del cambiamento di atteggiamento dell'Immortale, ma quest'ultimo li tranquillizzò con un cenno; tutto a posto, per il momento.

*      *      *

Giù, nell'oscurità dei giardini del palazzo, una creatura si muoveva senza alcun rumore. I suoi occhi rossastri costituivano l'unica fonte di luce tra le ombre degli alberi dall'alto fusto, ma la creatura vedeva chiaramente come se fosse giorno. Vedeva chiaramente le sentinelle agli ingressi del palazzo, tra cui anche alcuni Paladini, e le guardie sugli spalti del piano più alto della costruzione, vicino ai temibili Scorpioni.
La creatura non capiva che cosa fossero quelle macchine, ma intuiva che fossero pericolose. D'altra parte, però, sapeva che sarebbe riuscita comunque a salire sugli spalti, nascondendosi tra le ombre nonostante la sua mole o sfruttando i suoi poteri mentali per non farsi scorgere. Le pareti del palazzo erano ricche di appigli, nicchie e rientranze: non ci avrebbe messo molto a salire.
La creatura non aveva il senso dello scorrere del tempo così come gli Umani, o i Demoni superiori; per lei esisteva il "Prima", l' "Adesso" e il "Dopo" solamente.
Mentre si avvicinava verso una parte delle mura più in ombra delle altre, il suo Spirito ingiungeva di affrettarsi: il suo Spirito sentiva che ciò che stava arrivando, stava arrivando "Adesso".

*      *      *

Le sentinelle di guardia sugli spalti più alti del castello scrutavano il cielo alla luce di grandi torce luminose. Numerosi Paladini erano fra loro, intenti anch'essi a prevenire il rischio di un attacco improvviso.
Fortunatamente, l'aria di quella notte di tarda estate era limpida e trasparente, la luce della luna piena si diffondeva chiara e fu così possibile avvistare le otto ombre alate in volo quando ancora erano lontane dal palazzo.
Le strane creature dalle ali membranose si lanciarono rapidamente in picchiata, ma le pronte grida di allarme delle vedette fecero sì che gli Scorpioni riuscissero comunque ad intervenire.
Dieci grossi dardi d'acciaio, del peso di trenta libbre l'uno, sfrecciarono nel cielo scuro lanciati dai potenti archi delle nuove macchine da guerra. Due mancarono il bersaglio, ma gli altri otto colpirono in pieno le misteriose creature.
Il problema, purtroppo, fu la mancanza di coordinamento del tiro: due dei Demoni, i primi a scendere in picchiata, furono raggiunti ognuno da tre dardi. Un solo dardo era in grado, con la sua forza di penetrazione, di conficcarsi in profondità nella durissima pelle dei Demoni; le due creature, raggiunte tre volte in pieno petto, morirono quasi all'istante precipitando nei giardini davanti al palazzo.
Altri due Demoni furono colpiti dai rimanenti dardi, uno al braccio ed uno all'ala destra, ma i proiettili attraversarono gli arti delle creature aprendo grossi squarci, senza però riuscire ad ucciderli o quanto meno a fermarli.
Ricaricare gli Scorpioni era un procedimento lungo e faticoso; le guardie ed i Paladini sugli spalti non poterono che osservare, impotenti, le creature che si lanciavano verso una delle finestre dei piani inferiori, coperta da una spessa grata di ferro.

*      *      *

Le grida di allarme delle sentinelle interruppero ogni conversazione nello studio privato del Re: l'Immortale sfoderò la propria scure da battaglia, e gli altri due Paladini si voltarono verso la finestra sguainando le proprie spade.
Nonostante ciò, il violento impatto dei Demoni contro la grata a protezione della vetrata gettò nel caos più completo quasi tutti i presenti.
La grata venne facilmente sfondata, ed i vetri andarono in frantumi proiettando una miriade di schegge acuminate, che volarono per la sala.
Quasi tutti si ritrovarono feriti e sanguinanti, a meno dei tre Paladini ormai pronti per lo scontro; quando gli occhi dell'Immortale abbracciarono nuovamente la scena, sei mostruose creature si stagliavano sullo sfondo della finestra in frantumi. Due di esse perdevano vistosamente del denso sangue scuro, ed i tre guerrieri si scagliarono come un sol uomo contro il più vicino dei quattro Demoni illesi.
Un Paladino lo colpì al ventre con la propria spada dall'impugnatura a due mani, ferendolo leggermente e schivando nel contempo un artiglio scagliato verso la sua testa. Mentre il Paladino arretrava per prepararsi a colpire di nuovo, l'Immortale calò la sua scure di punta nel fianco del Demone, ferendolo un'altra volta, più gravemente.
Nel frattempo, il terzo Paladino si trovò impegnato a respingere gli artigli di un secondo Demone, intervenuto in soccorso del primo. In pochi frenetici istanti riuscì a parare alcuni colpi altrimenti mortali, ma l'intervento di un terzo Demone lo sbilanciò e lo lasciò scoperto: una zampata di uno dei due avversari lo raggiunse all'elmo, squarciandolo ed uccidendo il guerriero all'istante.
L'Immortale e l'altro Paladino superstite riuscirono a conficcare le proprie armi nel cuore e nel collo del primo avversario, uccidendolo e concentrandosi per respingere, nel frattempo, gli attacchi mentali delle altre creature.
Nello stato di trance, rallentando lo scorrere del tempo, l'Immortale realizzò quanto disperata fosse la loro situazione: Boltar ed Amerstin giacevano a terra svenuti, forse morti, mentre Ravendel e Fendor, entrambi sanguinanti, costituivano l'ultima difesa del Re.
I due Paladini attaccarono un altro Demone, consapevoli che un attacco coordinato avrebbe avuto più possibilità di successo, ma si accorsero con rabbia che gli altri quattro si stavano avvicinando al Sovrano.
Il loro avversario respingeva i loro colpi, e gli altri erano quasi addosso al Re. Solo Ravendel tentava di tenerli a bada con i suoi poteri magici, ma stava rapidamente esaurendo le sue energie mentali.
Mentre vibrava un colpo violentissimo sulla spalla del suo avversario, l'Immortale vide con la coda dell'occhio un'ombra materializzarsi al centro della stanza.
Forse era l'ombra che aveva intravisto pochi minuti prima: una figura ammantata di nero, con il cappuccio calato sugli occhi ed un bastone nella mano destra.
La figura alzò l'altro braccio, con il palmo della mano guantata aperto e rivolto in avanti. Poi lo mosse con un guizzo, ed un lampo luminoso attraversò la sala abbattendosi sul petto di uno dei quattro Demoni che minacciavano il Re.
La creatura fu sbalzata all'indietro, e ricade immobile a molti passi di distanza con il corpo devastato.
I Demoni arretrarono di fronte al nuovo venuto, compreso l'avversario dei due Paladini che si disimpegnò per raggiungere le altre creature. L'Immortale ed il suo compagno ne approfittarono per raggiungere con pochi balzi il Re, schiacciato contro la parete ma con una spada in pugno.
La figura al centro della stanza si sollevò lentamente il cappuccio del mantello gettandolo all'indietro, e gli occhi di Lewin Talamor fissarono i quattro Demoni superstiti.
Uno di essi, il più grosso di tutti, mosse ciò che sembrava una bocca, ed una voce cavernosa risuonò nella sala:
"E' un bene incontrare qui, in questa epoca, un Druido dell'antica razza, Umano. Mi era stato detto che si erano estinti, e che i maghi di questa epoca sono solo delle loro pallide imitazioni. E' un bene, Druido, che tu sia qui ed ora. Così morirai con onore".
" In tal caso, Signore della Terra, morirai anche tu con me, qui ed ora ".
" Non mentire con me, Druido. Sai bene che il tuo precedente attacco ha quasi esaurito le tue energie, e non potrai colpire di nuovo con forza sufficiente, prima che sia trascorso il tempo necessario per riprenderti. Ma io prenderò prima la tua vita, Druido, qui ed ora ".
La massiccia e spaventosa figura del Demone si lanciò verso Lewin.
Il Paladino alla destra del Sovrano, però, abbandonò la sua posizione e tentò di intercettare la creatura, con la spada che percorreva un ampio arco discendente.
Il Demone si arrestò un attimo, quasi infastidito. Parò il colpo col palmo di uno degli artigli, procurandosi un semplice graffio, ed affondò l'altro nel ventre del Paladino, perforando la corazza e devastandogli i visceri. Il braccio di Lewin Talamor si mosse di nuovo, scagliando un altro lampo di luce. Il Demone fu colpito, ma sussultò solo leggermente:
" Siete coraggiosi, Umani, e ciò vi fa onore. Ma il vostro tempo si è compiuto. Non hai più energie magiche, Druido, e ora morirai".
Dalla grata divelta provenne invece uno strano rumore metallico: con gli occhi sbarrati, l'Immortale vide un'ombra gigantesca entrare nella sala.
Un altro Demone, sotto una strana forma animale, si andò a fermare al fianco di Talamor senza che lui si muovesse.
Sembrava un specie di enorme lupo, le cui spalle superavano in altezza quelle del Mago.
Il capo dei Demoni alati, sul punto di scagliarsi di nuovo verso Talamor, si arrestò sorpreso:
" Comprendo che non sei solo un Druido, Umano, ma uno dei Druidi Eletti: un Signore dei Lupi. Questo cambia le regole del combattimento. Adesso dovrai combattere contro tutti, e noi dovremo punire anche il tuo compagno della razza inferiore".
L'immortale vide altri due Demoni alati schierarsi ai fianchi del capo. Gli altri, quelli feriti, rivolsero la loro attenzione verso il Re. Anche se feriti, avrebbero potuto farlo a pezzi in pochi istanti. Ciò che successe dopo, però, distolse la loro attenzione.
Talamor sembrò sospirare, sollevò il braccio destro e colpì con il bastone scuro il pavimento ai suoi piedi. Un attimo dopo, invece del bastone, stringeva nella mano una lunga spada sottilissima, dal manico nero e priva di guardia. Ma ancor più stupefacente era il fatto che la lunga lama sottile della spada emanava una luce intensa, ma scura, tenebrosa, inquietante solo a vedersi.
I tre Demoni di fronte a Talamor si fermarono; l'Immortale sentiva che il Mago era quasi privo di energie mentali, ma sentiva altrettanto chiaramente che quella spada era potente, di una potenza spaventosa.
L'immobilità generale si infranse al ringhio del Lupo: l'essere balzò all'attacco attraversando la sala e gettandosi sui due Demoni feriti. Con una spallata ne atterrò uno, quello con il braccio squarciato, mentre le sue fauci si chiusero sul collo di quello ferito all'ala.
L'Immortale non aspettò oltre: calò la scure tre volte sulla testa del Demone a terra, uccidendolo, poi si voltò verso il centro della sala.
Una delle creature superstiti si lanciò verso Lupo, ancora impegnato nella lotta, mentre il capo dei Demoni, con un ruggito animalesco, balzò su Talamor con le ali spalancate e gli artigli protesi.
L'Immortale vide la figura del Mago scomparire sotto la sagoma del Demone, ma subito dopo, dalla schiena della creatura, scaturì la punta luminosa della spada nera. L'arma aveva attraversato il torace del Demone da parte a parte, ed il suo corpo senza vita cadde pesantemente sul pavimento, rivelando la figura di Talamor inginocchiato e con l'arma ancora in pugno.
Senza neanche sapere il perché lo stesse facendo, l'Immortale si lanciò contro la creatura che stava assalendo il Lupo alle spalle.
Il Lupo perdeva sangue scuro da numerose ferite profonde, provocate al ventre dagli artigli del Demone sotto di lui ed alla schiena dall'altro avversario che lo aveva attaccato.
Nonostante gli squarci sulla sua pelle si facessero sempre più numerosi, il Lupo continuò a stringere le fauci sulla gola dell'avversario ormai a terra.
Trascinato dall'impeto, l'Immortale commise un errore. Un colpo di scure, vibrato in maniera leggermente scomposta, lo lasciò per un attimo scoperto. Il Demone alle spalle del Lupo, parato il colpo del guerriero, lo colpì al fianco con un artiglio, perforando la corazza e raggiungendo i tessuti.
L'Immortale strinse i denti e si concentrò ancor di più nello stato di trance per non sentire il dolore, ma i suoi riflessi rallentarono leggermente.
Il Demone abbandonò il Lupo e si gettò nuovamente contro il guerriero, ma anche questo si dimostrò un errore.
Lewin Talamor saltò, un lungo salto di almeno dieci passi, roteando su sé stesso in volo e piombando sul pavimento con la spada nera in avanti. Il Demone di fronte all'Immortale non si accorse della lama finchè non la vide spuntare, dal suo stesso petto. Appoggiando lo stivale sulla schiena del Demone, Lewin estrasse la lama dal corpo ormai senza vita e lo lasciò scivolare a terra.
Lo schiocco delle mascelle del Lupo segnò la morte di un altro Demone; il Lupo si voltò lentamente, grondante di sangue ma ancora più spaventoso.
Stancamente, l'Immortale si rimise in guardia al fianco del Mago, con lo sguardo annebbiato. Il solo Demone alato superstite, ancora al centro della sala, sembrava incerto. Di fronte a lui l'Immortale, Talamor ed il Lupo si avvicinarono lentamente.
Si udirono quindi violenti rumori e voci concitate nel corridoio, e pochi istanti dopo il portone della sala si aprì davanti ad un drappello di Paladini.
Il Demone ruggì impotente, spiegò le ali e si lanciò verso la finestra.
Talamor si diresse anch'egli verso l'inferriata divelta, mentre i primi tre Paladini giunti in soccorso si prepararono ad attaccare il Lupo.
L'Immortale li fermò con un grido, lasciandoli immobili e stupefatti. Nel frattempo, Talamor alzò entrambe le braccia. L'Immortale avvertì che il Mago aveva già recuperato parte delle proprie energie mentali, ed infatti un lampo partì dalle sue mani e colpì la nera figura ormai in volo nella notte. L'immortale capì che il colpo non era stato abbastanza potente da essere mortale, ma comunque avrebbe ferito la creatura più o meno gravemente. Il Demone precipitò infatti a spirale nei giardini, scomparendo tra gli alberi.
Talamor guardò quindi il Lupo, che ringhiò in risposta; L'Immortale sentì una specie di messaggio correre tra i due, e subito dopo il Lupo, ancora coperto di denso sangue scuro, si lanciò verso la finestra, saltando nel vuoto da un'altezza di almeno venti braccia.
L'Immortale sentì la scure scivolargli tra le mani; aveva perso molto sangue, e presto sarebbe svenuto. Alzò di nuovo lo sguardo sul Mago, e si rese conto della strana espressione sul suo volto: Talamor stava soffrendo, e molto. Il Mago non era ferito, e senza sapere perché il guerriero realizzò che la sofferenza del Mago proveniva dalla spada.
Talamor sembrò accorgersi di essere l'oggetto del suo sguardo: sollevò la spada nera e luminosa e colpì con la punta della lama il pavimento; un istante dopo, la sua mano stringeva nuovamente un bastone scuro.
Il volto del Mago sembrò tornare quello di sempre: freddo, distaccato, inquietante, senza alcuna traccia del dolore precedente.
Voltando le spalle alla finestra, Lewin si avvicinò al guerriero; il suo sguardo si posò sul fianco dell'Immortale, che si accorse di avere il ventre e le gambe grondanti di sangue, che si andava depositando in una piccola pozza ai suoi piedi.
"Siete conciata piuttosto male, Alina. Se lo desiderate,… posso fare qualcosa per quella ferita".
L'Immortale lottò per non svenire, ma replicò: "Non preoccupatevi, Talamor. Sono piuttosto gelosa delle mie ferite,… e comunque abbiamo ottimi guaritori nella Legione".
Ciò detto, si voltò a fatica per uscire dalla sala sulle proprie gambe. Lo squarcio sul fianco, appena un palmo sotto il seno sinistro, era largo e profondo. Nel corridoio, notò Fendor che accompagnava il Re al sicuro verso una stanza più interna del Palazzo; finalmente, lontano dagli occhi di Talamor, l'Immortale si accasciò, svenuto, fra le braccia di due dei Paladini appena giunti.
L'ultimo suono che udì fu un lungo ululato lontano, sordo e cupo: l'ultimo Demone alato, quello precipitato tra gli alberi del giardino, aveva cessato di esistere tra le fauci del Lupo.

*      *      *

Il giorno dopo, Lewin Talamor si sorprese al ritrovare Alina Therin di nuovo in piedi.
"Ho visto molti guerrieri riprendersi rapidamente, ma nessuno in piedi poche ore dopo aver ricevuto una ferita di quel tipo, ed aver perso tanto sangue".
"Noi Paladini usiamo i nostri poteri di controllo del corpo per accelerare i processi di cicatrizzazione e rigenerazione dei tessuti, Talamor, proprio come voi Maghi. Abbiamo inoltre dei guaritori molto esperti che ci aiutano nel processo, e la donna che mi ha assistito questa notte è la migliore di tutte".
L'Immortale indossava sul petto una nuova corazza immacolata, che nascondeva completamente le numerose bende intrise di unguenti ed erbe medicinali. Anche se non l'avrebbe mai ammesso di fronte al Mago, provava ancora dolori molto forti, ed il solo camminare le costava fatica.
I due si incamminarono insieme verso lo studio del Re, il luogo dello scontro della notte precedente.
"Ho sentito che il Re partirà nel pomeriggio: saggia decisione da parte sua".
"Sono d'accordo" - "annuì Alina - " il convoglio reale si sta già formando davanti alle Mura Esterne ed il Re partirà assieme a Fendor. Amerstin è morto, Boltar è ancora in coma mentre Ravendel ha ripreso i sensi all'alba, anche se non riesce a muoversi. Credo che dovrà rimanere a Palazzo ancora molti giorni, prima di poter raggiungere il Re".
Davanti allo studio del Sovrano, una folla di guardie, Paladini, artigiani e carpentieri li costrinse a farsi strada a fatica. Un Ufficiale della Legione si presentò all'Immortale per aggiornarlo sulle ultime novità.
" Nella sala ci sono i cadaveri di quattro Demoni, Signore, ed altri tre sono stati rinvenuti nei giardini: due uccisi dagli Scorpioni e uno dilaniato da qualcuno, o da qualcosa.
Vi è uno strano particolare: degli otto corpi, solo sei si sono mutati in rocce nere, come quello da voi ucciso qualche settimana fa. Gli altri due si presentano come masse pressochè informi di fango verdastro, o melma, che emanano vapori nauseabondi. Il Re ha disposto che tutti cadaveri vengano rimossi e sepolti lontano della città".
In quel momento, infatti, un folto gruppo di operai e falegnami stavano trainando un blocco di pietra dalle fattezze demoniache fuori dai portoni dello studio, sudando ed imprecando per lo sforzo.
Talamor e l'Immortale entrarono quindi nella sala; altri operai e carpentieri, con pale e picconi, stavano liberando dal pavimento gli altri cadaveri sotto l'occhio vigile di altri Paladini.
Talamor si diresse subito verso uno dei due mucchi oblunghi di melma verdastra, coprendosi la bocca ed il naso con un lembo del mantello.
Un suo gesto della mano fermò il lavoro di un gruppo di operai, che con delle pale si apprestavano a rimuovere la sostanza dal pavimento.
Il Mago toccò con la mano guantata il mucchio di melma, infilando le dita la dove si sarebbe dovuto trovare il petto del demone. Pochi istanti dopo estrasse un piccolo oggetto, che ripulì con l'aiuto di pezzo di tessuto. Fatto ciò, si levò il guanto che aveva usato, gettandolo via, ed osservò pensieroso l'oggetto.
Alina notò che si trattava di un cristallo nero, simile quello che Talamor aveva notato sul corpo del Demone nella sala delle udienze. Anche senza essere un Mago, però, Alina era in grado di sentire che da esso proveniva un forte influsso magico: quel talismano, qualunque cosa fosse, era ancora attivo.
Il guerriero volse lo sguardo per tutta la sala. Dalla posizione dei corpi, non ci voleva molto a capire che i Demoni mutati in melma erano quelli che Talamor aveva ucciso con la misteriosa spada nera.
I misteri che circondavano il Mago, invece di svelarsi, si infittivano ancora di più.
Quali padroni Talamor stava servendo, o quali scopi si prefiggeva ?
Che fine aveva fatto il suo Maestro, l'unico contatto con Ravendel ?
Cosa sapeva sui Demoni alati ?
Cosa era il Lupo, e perché aveva combattuto contro gli altri Demoni?
Che significato avevano i Talismani ?
Da dove proveniva la Spada Nera, e che poteri aveva ?
Perché Talamor soffriva, impugnandola ?
E vero, il Mago aveva combattuto in difesa del Re, ma ciò non chiariva le ombre che lo circondavano, ombre delle quali non era disposto neanche a parlare.
Alina aveva imparato, in anni ed anni di dure campagne di guerra, che ci si poteva fidare solo di chi si conosce profondamente, fin nei sentimenti più reconditi del cuore. Ed anche allora, si correva il rischio di essere comunque traditi.
Talamor non le piaceva. Il suo cuore le diceva che non avrebbe mai raccontato i suoi segreti, e che in fondo non gli importava molto del Re, visto lo scarso rispetto che dimostrava nei suoi confronti.
Anche se forse non era un nemico, per il momento, era comunque probabile che Talamor avesse utilizzato e stesse utilizzando il Re come un'esca, una pedina in un gioco ben più grande, di cui chissà chi erano i veri giocatori.
Senza dire una parola, mantenendo lo sguardo fisso sul pavimento davanti a lui, il Mago si voltò ed uscì dalla sala.

*      *      *

Quel pomeriggio, nel prato antistante il palazzo, ai margini dei giardini alberati, un piccolo corteo era pronto per la partenza del Re. Una volta fuori dalle Mura Esterne, si sarebbe inserito nel lungo convoglio che avrebbe assistito e scortato il Sovrano di Dremlund verso le frontiere.
Un picchetto d'onore della Legione Sacra aspettava l'uscita del Re, ed una volta profilatasi sui portoni l'alta sagoma di Pallador, scattò sull'attenti e rese gli onori.
Il Re montò quindi sul suo cavallo, voltandosi per salutare i suoi collaboratori più stretti. Lewin Talamor era presente, ma tentò di mantenersi in disparte.
Dopo aver salutato con affetto Ravendel, che si manteneva appena in piedi ma che non aveva voluto mancare alla partenza, ed Alina Therin, Il Re fece comunque cenno a Talamor di avvicinarsi.
"Desidero ringraziarvi, Talamor. Senza il vostro intervento, non sarei più qui".
"Non sono stato io il solo a difendervi validamente " - replicò il Mago, indicando Alina.
"Quali sono ora i vostri programmi ? " - continuò il Re.
"Partirò presto anch'io. Ritengo non più tardi di domattina all'alba. Credo di aver trovato una strada da seguire, per chiarire la minaccia che abbiamo di fronte".
"Immaginavo infatti che sareste partito, Talamor, e che sareste andato lontano, probabilmente fin nelle terre dell'Impero. E proprio per quello che avete detto, intendevo dirvi che desidererei inviare assieme a voi uno dei miei uomini, che possa all'emergenza trovarmi e riferirmi ciò che verrà scoperto o ciò che dovrebbe essere fatto per prevenire… diciamo… spiacevoli eventualità".
Talamor sembrò perplesso - "Capisco le vostre preoccupazioni… ma sono abituato ad agire da solo… così da non dovermi preoccupare che di me stesso".
Il Re non si arrese: "Naturalmente, chi ho pensato di mandare con voi non sarebbe un peso, anzi, sarebbe proprio il mio migliore guerriero…".
Gli sguardi di tutti si fissarono sull'Immortale, che si irrigidì ma non disse nulla.
"Avete qualcosa in contrario, Alina ? " - chiese Pallador - " Se è così, allora ditemelo ".
Il Guerriero deglutì, dopo di che parlò: "Non posso non confessare che mi dispiacerebbe molto lasciare il comando dei miei uomini a qualcun altro, Maestà. Avevo infatti in mente di partire al più presto per raggiungerli. D'altra parte sapete bene che, se questi sono i vostri desideri, io obbedirò ad essi, naturalmente".
"Non lo farei se non ne fossi convinto, ma mi vedo costretto ad assegnarvi questa difficile missione, Alina. Sempre che voi, Talamor, non abbiate niente in contrario…" - e lo sguardo del Re si fece enigmatico.
Lewin sospirò: "…Sono abituato a muovermi velocemente, quando viaggio…".
"Allora, Mago, non sarò costretta a fermarmi per aspettarvi ! " - fu la replica dell'Immortale.
Dopo una lunga pausa, il Mago scrollò infine le spalle: "Se così volete, Maestà, allora per me va bene".
" E' deciso allora" - Pallador tirò una delle redini e voltò il cavallo per muoversi - "Vi auguro buona fortuna, Talamor, Credo che anche voi, come noi tutti, ne abbiate bisogno".

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Il giorno successivo, un'ora dopo il sorgere del sole, l'Immortale ed il Mago cavalcavano fianco a fianco verso nord, mentre il profilo della città di Esperia si faceva sempre più lontano ed indistinto alle loro spalle.
Si erano dati appuntamento poco prima dell'alba ai piedi delle Mura Esterne della capitale, ma quando si erano incontrati, dopo un saluto di cortesia, si erano affiancati ed avevano cominciato il viaggio in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri.
Il silenzio era durato per una buona ora di cammino, e fu il guerriero infine a romperlo.
"C'è una cosa che volevo dirti, Mago. So bene che, se non fosse stato per il tuo intervento, l'altra notte, ora non sarei più in vita. Dovrei esserti grata per questo, ma in realtà non riesco ancora a spiegarmi bene che cosa stia succedendo, e che ruolo tu svolga in tutto ciò " - l'Immortale si fermò per un attimo, sorpreso di aver usato il "tu" invece del "voi" per rivolgersi al suo compagno di viaggio, ma poi continuò con lo stesso tono - "Il fatto è che tanti anni di guerra mi hanno insegnato una semplice verità: ti puoi fidare solo di chi conosci veramente, fin nel profondo dell'animo, ed anche in quel caso le cose, col tempo e le circostanze, possono cambiare. Spero che noi due ci troviamo veramente dalla stessa parte della barricata, Mago, e che continueremo così. Comunque… anche se mi dà fastidio… so di doverti la vita".
"Capisco…" - fu la risposta di Lewin. Il Mago si voltò a guardarla: cavalcava con la naturalezza di chi era sempre vissuto in sella ad un cavallo da guerra, con la splendente armatura da Paladino ed i capelli riuniti in una lunga treccia. Se non fossero stati un po' troppo duri, i suoi lineamenti sarebbero stati anche belli: le labbra erano però troppo sottili, con gli angoli rivolti in basso, gli zigomi troppo alti e soprattutto gli occhi erano troppo freddi, di un azzurro così chiaro da sembrare quasi bianco. Lo sguardo della donna-guerriero era gelido come una lama, come se la Morte facesse ormai parte della sua stessa anima.
Dopo alcuni minuti, il silenzio fra i due fu rotto di nuovo.
"Un paio di anni fa"- disse la donna in tono quasi casuale - " mi trovai a combattere in un settore del fronte in cui avevamo di fronte dei reparti imperiali tratti da alcune remote tribù del Nord. Erano poco più che dei selvaggi, assoldati dal nemico per guadagnare la superiorità numerica su di noi, ma erano i migliori cavalieri che abbia mai incontrato: per buttarli giù dalla sella bisognava tagliargli la testa, o le gambe. Ricordo che usavano delle selle ricoperte da un cuoio particolare, colorato con varie tinture, di cui per caso mi trovai ad esaminare un esemplare dopo uno scontro".
La donna si voltò per fissare il cavallo di Lewin, dalla parte in cui sporgeva il bastone nero del Mago, legato alla staffa sinistra.
"Quel cuoio era cuoio ricavato da pelle umana, Mago, esattamente come quello che ricopre il tuo bastone, o meglio, la tua spada".
Lewin si irrigidì, come se avesse ricevuto un colpo, ma non disse nulla.
L'Immortale capì però di aver toccato un argomento delicato per il Mago, un argomento che faceva scattare qualcosa dentro di lui che riusciva a controllare solamente a fatica.

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