Capitolo V - La battaglia


Negli ultimi giorni, le forze imperiali provenienti da Nord avevano invaso la vallata di Klaghen portando avanti il grosso dell'esercito per tentare la conquista del castello.
I reparti dell'esercito reale si erano ormai ritirati all'interno delle mura, non potendo reggere il confronto in campo aperto, nella vallata, contro le soverchianti forze nemiche.
D'altra parte la guarnigione del castello era comunque consistente, ed il Comandante Imperiale, il Duca Whilhem, si trovava di fronte ad una scelta difficile: poteva decidere di passare verso Sud senza attaccare il castello, tentando di dilagare verso le pianure meridionali, ma in quel caso si sarebbe trovato una forza nemica di livello non trascurabile proprio nelle sue retrovie, in grado di colpire i punti deboli della sua armata.
Oppure poteva decidere di tentare di prendere di forza il castello, attaccandolo in massa. Fermarsi ad assediarlo non sarebbe stata una decisione saggia, perché avrebbe costretto l'Armata Imperiale del Nord a fermarsi a Klaghen per molti mesi, consentendo alle Divisioni Reali nel Sud di riorganizzarsi a difesa.
Lord Whilhem aveva quindi deciso per l'attacco al castello, e stava portando avanti nella valle le sue truppe pesanti. Nel frattempo le fanterie reali attendevano dentro le mura, non potendo più uscire all'aperto senza subire inutili perdite dai reparti di cavalleria nemica che tenevano il castello sotto sorveglianza diretta, appena fuori della portata delle balestre sugli spalti.
Il Comandante della guarnigione di Klaghen, Lord Elmar, aveva comunque distaccato fuori del castello alcuni nuclei di esploratori di non più di una dozzina di uomini, che giorni prima si erano nascosti sulle montagne dominanti ad est e ad ovest la vallata di Klaghen.
Lewin Talamor apparteneva ad uno di questi drappelli, ed osservava la vallata dall'alto di una posizione dominante, nascosto tra la vegetazione sul fianco della montagna ad oriente del castello.
" Ciò che veramente mi preoccupa è quell'ariete " - mormorò il sergente Muster steso accanto a lui.
Masticando un filo d'erba sull'orlo del dirupo scosceso, Lewin si concentrò sulla strana macchina che avanzava nella valle; il giovane non aveva esperienza di battaglie campali, ed il castello gli era sempre parso imprendibile. In quel momento, però, notando l'organizzazione che gli Imperiali stavano ponendo in atto, si rese conto che la guarnigione di Klaghen era decisamente in pericolo.
Compagnie di fanteria pesante stavano avanzando verso il canale che circondava il castello, riparandosi dietro grossi scudi e trascinando con loro pesanti tronchi d'albero.
Alcuni di questi tronchi erano già stati gettati nel canale nel corso della mattinata sotto un fitto tiro di balestre, allo scopo di riempirlo in corrispondenza del ponte levatoio e dei pesanti battenti metallici del cancello che costituiva l'unico ingresso del castello.
Molti fanti imperiali erano morti nell'azione, con i grossi scudi comunque trafitti dai micidiali dardi delle balestre pesanti dei difensori del castello, ma dopo quasi sette ore di combattimento il canale era ormai stato quasi riempito in corrispondenza del ponte levatoio sollevato in posizione verticale; Lord Whilhem aveva quindi ordinato di muovere il grande ariete, costruito abilmente in meno di una settimana con i tronchi degli alberi della vallata, ed il momento decisivo dello scontro si stava avvicinando.
L'ariete era un vero capolavoro di ingegneria: era stato ricavato dal tronco di una delle sequoie più alte dei boschi vicini, che misurava grosso modo quattro braccia di diametro e trenta di lunghezza; era stato posto e fissato su di una serie di quattro altri tronchi trasversali, più sottili, le cui estremità costituivano i mozzi di otto rozze ruote di legno pieno. Numerosi altri pali erano stati poi conficcati su entrambi i fianchi del tronco principale, così da fornire appoggio per coloro che avrebbero avuto il compito di spingere l'ariete verso i portoni del castello.
L'estremità dell'ariete era stata rastremata ed appuntita con cura, ed un rinforzo metallico aggiungeva ulteriore capacità di penetrazione alla macchina che si stava lentamente avvicinando da nord, al centro della vallata.
" Peserà almeno cento tonnellate " - riflettè ad alta voce il sergente, non nascondendo la sua preoccupazione. La macchina era ancora lontana circa un miglio dal castello, ed in quel momento erano trenta coppie di buoi che la stavano facendo avanzare rotolando verso sud; giunti appena fuori portata di tiro delle balestre reali, i buoi sarebbero stati sostituiti dai soldati che già si stavano preparando intorno alla macchina.
L'ariete aveva sui fianchi almeno quaranta pali, venti per lato, ognuno abbastanza lungo per quattro persone una affianco all'altra. Un totale di circa centosessanta fanti tra i più forti dell'esercito imperiale, quindi, avrebbe lanciato la macchina all'assalto.
" Saranno esposti al tiro delle balestre " - commentò Lewin.
" E' vero, ma lanciati in corsa, non sarà facile colpirli da lontano, anche tirando nel mucchio… e poi, vedi le altre due compagnie, a destra ed a sinistra dell'ariete ? Ogni fante caduto, mentre spinge la macchina, verrà subito sostituito da qualcuno tratto dalle due compagnie che correranno ai suoi fianchi. Per non parlare degli arcieri e dei balestrieri imperiali che stanno per serrare sotto gli spalti: costringeranno i nostri ad abbassare le teste ed a dividere il tiro ".
" Sergente, se l'ariete dovesse riuscire a sfondare i cancelli… c'è qualche speranza per i nostri ? ".
" Con tutti quegli squadroni di cavalleria all'imbocco della valle che non aspettano altro che di irrompere all'interno del cortile principale ? No, Lewin, se sfondano… hanno vinto " - concluse tristemente Muster..
I due esploratori continuarono ad osservare l'evolversi della battaglia: nella successiva ora, le fanterie pesanti imperiali ultimarono il riempimento del fossato in corrispondenza del cancello al prezzo di forti perdite: almeno duecento erano i caduti sotto le frecce reali, ma un solido passaggio di tronchi d'albero correva adesso dalla riva fino ai battenti del portone.
Successivamente, reparti misti di balestrieri e fanteria si avvicinarono alle mura: i fanti tentavano di proteggere i balestrieri con i loro scudi pesanti, mentre gli altri iniziarono un duello con balestrieri reali. Questi ultimi erano nettamente in vantaggio, potendo sfruttare l'altezza degli spalti per colpire meglio, ma nel frattempo i buoi erano stati sganciati dall'ariete e centossessanta uomini avevano preso posizione intorno alla macchina.
Una decina di grandi tamburi rotondi si sistemarono dietro l'ariete e cominciarono a segnare un ritmo lentissimo, con colpi sordi che echeggiavano forti anche al di sopra del clamore del combattimento. I soldati iniziarono a far forza sui pali, e lentamente l'ariete cominciò a muoversi. Ogni colpo di tamburo scandiva un passo in avanti, e ben presto la macchina avanzò con la velocità prodotta da centosessanta uomini a passo spedito.
Le due compagnie di sostegno si mossero in sincronia con quella che spingeva l'ariete, ed in breve tempo tutte si trovarono a portata delle balestre reali. I balestrieri del Re spostarono quindi il tiro su di loro, cercando nel contempo di sottrarsi alle frecce delle compagnie imperiali schierate sotto le mura.
Appena i primi dardi caddero nelle vicinanze dell'ariete, il ritmo dei tamburi cominciò ad aumentare, a farsi sempre più serrato, mentre gli uomini passavano da un passo cadenzato ad una corsa sempre più sfrenata. In questo erano aiutati dal leggero pendio con cui la vallata declinava verso il castello, consentendo all'ariete di acquistare ulteriore velocità.
Il prato del fondo valle era il terreno ideale per muovere la macchina, sebbene le grandi ruote piene alte più di tre braccia avrebbero comunque consentito il movimento dell'ariete persino su di un terreno più sconnesso, assorbendone le asperità, così come era previsto che facessero, entro pochi minuti, sui tronchi gettati nel fossato davanti al cancello.
Lewin e Muster osservavano affascinati la scena: la perizia dei soldati imperiali era notevole, in quanto non era affatto facile mantenere la pesantissima macchina lanciata nell'esatta direzione dell'ingresso del castello, ed anche il loro coraggio non era da meno, con i sempre più numerosi caduti sotto i dardi reali prontamente rimpiazzati dai rincalzi delle compagnie vicine.
Quando l'ariete era ormai a meno di duecento passi dal castello, però, Lewin vide del movimento sugli spalti esattamente sopra i cancelli: due grandi pannelli di legno massiccio, costituenti in quel punto la parte superiore delle mura, si aprirono verso l'esterno, rivelando ciò che a Lewin parve un grosso blocco di pietra, un pesante macigno grossolanamente sferico di almeno tre braccia di diametro. Non doveva essere stato facile farlo salire fin sulle mura, ma adesso il macigno incombeva minaccioso verso il basso.
I balestrieri imperiali concentrarono immediatamente il tiro intorno al masso, riuscendo anche a colpire un paio di difensori, ma un'altra decina di soldati reali si riparò dalle frecce dietro lo stesso blocco di roccia. Nel frattempo l'ariete era ormai giunto quasi sul fossato, carico dell'inerzia delle sue oltre cento tonnellate spinte a passo di carica dai soldati ormai al limite delle loro energie.
La macchina imboccò correttamente il passaggio nel canale costituito dai tronchi d'albero gettati in precedenza, sobbalzando su di loro e facendo cadere nel fossato alcuni degli uomini delle file più esterne, ma senza perdere troppa velocità. La pesante punta in ferro era diretta esattamente al centro dei due battenti del cancello, e la violenza dell'impatto sarebbe stata tale da svellere con ogni probabilità tutti i cardini, le sbarre ed i chiavistelli posti a salvaguardia dell'ingresso alla fortezza.
Fu in quell'esatto momento che i difensori del castello fecero rotolare giù il macigno: il massiccio blocco di pietra cadde roteando da un'altezza di almeno dodici braccia, abbattendosi pesantemente proprio a ridosso della punta del grande ariete.
La forza del colpo spezzò i due tronchi che costituivano gli assi delle prime due coppie di ruote piene, ed il corpo della macchina, cioè il gran cilindro di legno di sequoia, si trovò a scivolare con la sua superficie inferiore sui tronchi gettati nel canale.
Le prime righe di soldati persero la presa sui punti di appoggio, ed inoltre l'ariete si trovò con la coda sollevata dalle due coppie di ruote posteriori ancora funzionanti, e con la punta verso il basso a causa della rottura delle ruote anteriori. In tali condizioni, la punta della macchina finì con l'infilarsi tra due dei tronchi gettati nel canale, spezzandoli in una miriade di schegge di legno ed esaurendo la propria energia arrestandosi a meno di due braccia dai battenti del cancello.
Molti soldati imperiali caddero nel fossato, all'esterno del passaggio, altri rimasero schiacciati dai resti del grande ariete, altri restarono trafitti dalla miriade di schegge di legno infranto che l'immane urto aveva generato.
Urla di dolore si levarono altissime, andandosi ad aggiungere alle grida esultanti dei difensori ed agli sfoghi di rabbia degli altri reparti imperiali, schierati a sostegno nei pressi delle mura.
I balestrieri reali riportarono quindi il tiro su quelli imperiali, essendo ormai inutile sprecare frecce sui superstiti dell'ariete; quattro squadroni di cavalleria pesante imperiale, lanciati al galoppo alle spalle della macchina per sfruttarne immediatamente lo sfondamento, furono costretti ad arrestarsi bruscamente prima del fossato ed a ritirarsi verso nord per evitare perdite inutili; il ripiegamento dei cavalieri abbassò ulteriormente il morale delle truppe imperiali che ancora combattevano, e ben presto le compagnie miste di fanti e balestrieri schierate a ridosso delle mura cominciarono anch'esse a ritirarsi, per sottrarsi al duello con i balestrieri reali che sfruttavano il vantaggio del riparo e dell'altezza.
Appena dieci minuti dopo, l'ampio spazio a tiro di balestra, davanti alla fortezza, era occupato solo da cadaveri e moribondi: la battaglia di Klaghen era durata meno di dodici ore.
Dopo essere rimasto a lungo in silenzio, Lewin mormorò: " Avevate idea di ciò che sarebbe successo, Sergente ? ".
" Immaginavo che qualcosa avessero preparato, all'interno del castello, durante la settimana, una volta notati i preparativi per l'attacco degli imperiali. Quella del macigno era una delle migliori carte da giocare, anche se le cose avrebbero potuto prendere una brutta piega, nel caso in cui il lancio del masso fosse andato male ".
Mentre i due uomini parlavano, uno dei battenti dell'ingresso della fortezza si aprì parzialmente ed un uomo solo si fece avanti sventolando una bandiera bianca.
L'uomo, tirando per le redini un cavallo nero, percorse il passaggio accidentato sul fossato fiancheggiando i resti dell'ariete, dopo di che montò agilmente a cavallo e si avvicinò al trotto verso le forze imperiali; il cavaliere era coperto da un'armatura da battaglia, ma non portava alcuna arma oltre la bandiera bianca che continuava a sventolare.
" Ma che fanno ?! Si arrendono ?? " - si stupì Lewin.
" Credo che Lord Elmar voglia inviare un emissario per discutere con il Comandante delle Forze Imperiali. Non è assolutamente detto che si tratti di una resa, anzi " - replicò Muster.
Nel frattempo il cavaliere giunse a tiro dei balestrieri imperiali, ma non rallentò il trotto del proprio cavallo; Lewin lo riconobbe: " Ma è Fendor !! ".

*      *      *

Dieci minuti dopo, il Cavaliere Comandante Erik Fendor si trovava al cospetto del Duca Whilhem, nella tenda che il Comandante dell'Armata Imperiale utilizzava per le udienze e le riunioni.
" Siete sotto la protezione della bandiera bianca, cavaliere. Dite ciò che dovete dire, ed andatevene "- esordì il Duca. Al suo fianco, il conte Gotrek, nipote dello stesso Imperatore di Argan, fissava in silenzio Fendor con occhi carichi di odio. Gotrek aveva guidato la carica di cavalleria all'attacco della fortezza, quella stessa carica che era terminata prima ancora di cominciare per il mancato sfondamento dei cancelli. Il giovane conte non era un uomo abituato alle sconfitte.
" Duca Whilhem, il mio signore, Lord Elmar, vi manda i suoi rispetti e mi ha incaricato di comunicarvi la sua ammirazione per il coraggio con cui i vostri uomini si sono impegnati in battaglia. In verità, è un onore combattere contro nemici così valorosi ".
Il duca chinò la testa in segno di approvazione, ma non disse nulla; Gotrek, invece, non riuscì a reprimere un moto di stizza.
" Inoltre " - riprese Fendor - " il mio signore intende proporvi una tregua fino a domani mattina, affinchè i vostri uomini possano recuperare i cadaveri ed i feriti che ancora giacciono nei pressi delle nostre mura ".
Il Duca non si fece ingannare dalle parole del giovane: recuperare i feriti e seppellire i morti era sì un dovere di ogni buon soldato, ma allo stesso tempo avrebbe risolto un problema alla stessa guarnigione del castello; i cadaveri, infatti, sarebbero presto andati in decomposizione, appestando l'aria intorno al castello a tutto svantaggio dei suoi difensori.
Nonostante ciò, il Duca non aveva alcuna intenzione di abbandonare i suoi feriti, anche se gravi, ed accettò l'offerta di Elmar: " Sia tregua fino a domani mattina all'alba, cavaliere. Manderò cento soldati disarmati sotto le vostre mura per recuperare morti e feriti. Portate i miei omaggi ad Elmar, giovanotto. Vi siete difesi bene " - ed il Duca fece per voltarsi e congedare Fendor.
" Un'ultima cosa, Duca Whilhem. Lord Elmar mi ha anche incaricato di dirvi che non vi inseguirà, se deciderete di ritornare a nord, nelle vostre terre " - aggiunse impassibile il giovane cavaliere.
Gotrek avvampò e fece per estrarre dal fodero la sua lunga spada, ma il Duca lo fermò con un gesto della mano e rise divertito: " Hai fegato, giovanotto, ma non chiedere troppo alla protezione della bandiera bianca. Le mie intenzioni sono affar mio, e vedremo cosa il tuo Lord Elmar sarà in grado di fare, oltre che ripararsi dietro alle mura di un castello.
Adesso rimonta sul tuo cavallo e vattene, cavaliere. Non sono dell'umore giusto per altri scherzi, questa sera ".
Erik Fendor si inchinò, voltò le spalle ed uscì dalla tenda, seguito da due fanti imperiali armati di tutto punto.

*      *      *

" Forse non avremmo dovuto accettare " - disse due minuti dopo Gotrek, ancora furioso - " i cadaveri avrebbero sicuramente appestato l'aria del castello. Forse avrebbero persino potuto provocare qualche epidemia all'interno della guarnigione ".
Il Duca fissò il giovane conte, sospirando: " …è poco probabile, e comunque un'epidemia non si diffonderebbe prima di molti giorni; non ci possiamo permettere di aspettare ancora fermi in questa valle sperduta.
Ma soprattutto, Gotrek, ricorda: se i tuoi soldati vedono che ti preoccupi dei feriti e dei moribondi, anche di un solo uomo, ti rispetteranno e ti seguiranno in capo al mondo. Se si accorgono di essere solo delle pedine nelle tue mani, ti tradiranno alla prima occasione. Rifletti, Gotrek, o non sarai mai un buon condottiero ".
Il conte accusò il colpo, e non replicò; Whilhem, dopo alcuni secondi di silenzio, pensò che fosse l'occasione giusta per insegnare qualcosa al giovane nipote dell'imperatore.
"Ascolta un vecchio soldato, caro Gotrek: nella storia, una guerra non si è mai risolta con una semplice carica di cavalleria pesante.
Ma soprattutto ricorda: non odiare il tuo nemico, perché l'odio acceca la mente, soprattutto quella di un Comandante. Può andar bene che le truppe odino i loro nemici, per vincere la paura e combattere con furore, ma coloro che decidono, gli strateghi, devono innanzi tutto rispettare i loro avversari; è meglio sopravvalutare che sottostimare, ricorda !
D'altra parte, almeno per me, è difficile odiare qualcuno per una guerra scoppiata decine di anni fa per un motivo che ormai nessuno ricorda, e che viene condotta dai figli e dai nipoti di coloro che l'hanno iniziata !
Per il possesso di minuscola contea di poche miglia quadrate, perché e per ciò che il tutto ebbe inizio, Gotrek, la gente delle Terre Conosciute si squarta ormai da generazioni "- sospirò il Duca - " ormai sia noi che i Reali combattiamo soltanto perché abbiamo paura che, una volta sconfitti, ci facciano pagare per intero il peso di tutta la tragedia".
Gotrek non replicò, ma il suo viso tradì tutta la sua disapprovazione; la fama ed i successi del Duca come condottiero di unità imperiali lo avrebbero protetto da un'eventuale accusa formale di disfattismo, ma appena tornato a Concordia Gotrek si riprometteva di parlare in privato con suo zio l'Imperatore, per informarlo della quasi sicura infedeltà del Duca.
A quel punto, forse, avrebbe anche potuto prendere il suo posto a capo dell'Imperiale Armata del Nord.

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Whilhem, di spalle, sentì il fruscio della tenda che si richiudeva dopo l'uscita del suo giovane vicecomandante; non aveva difficoltà ad indovinare i pensieri del nipote dell'Imperatore, ma non era per nulla preoccupato: aveva affrontato e superato ben altre difficoltà che le invidie di un piccolo sciacallo.
Comunque, aveva ben altri pensieri per la testa: doveva scendere a sud, e doveva farlo in fretta. La guarnigione di Klaghen aveva resistito bene, meglio di quanto lui avesse previsto, ma sapeva come comportarsi per minimizzare i danni ed i ritardi.
Avrebbe lasciato un distaccamento ad assediare il castello, ed avrebbe proseguito con il grosso dell'Armata verso le pianure meridionali, seguendo il piano generale.
Il Duca Arthur, Comandante dell'Armata Imperiale dell'Est, contava sulla sua incursione nelle retrovie del regno di Dremlund per lanciare con successo l'offensiva generale verso la capitale nemica.
Whilhem non poteva permettersi di lasciare molti uomini a Klaghen, ma costruendo un solido sistema di trincee e fortificazioni tutto intorno al perimetro del castello, sarebbero bastati duemila uomini sotto un buon capo per tenere le truppe di Lord Elmar confinate nella fortezza.
In tal modo la linea di comunicazione con il nord attraverso la valle sarebbe rimasta sotto controllo imperiale, Elmar non avrebbe potuto attaccare le retroguardie della sua Armata e lui avrebbe conservato un numero sufficiente di uomini per imperversare nel sud del Reame.
Però doveva muoversi in fretta: non poteva fermarsi a Klaghen per più di un altro paio di giorni, o il ritardo avrebbe cominciato ad essere sensibile.

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Lewin e Muster osservavano pensierosi la lunga colonna di uomini, cavalli, buoi e carri che sfilava lentamente giù nel fondovalle in direzione sud, sull'altra riva del fiume rispetto alla fortezza, tenendosi attentamente fuori dalla portata delle balestre appostate sulle mura.
Due giorni erano passati dalla battaglia che aveva negato all'Armata del nord il possesso del castello, e gli Imperiali li avevano spesi per iniziare poderosi lavori di scavo di trincee ed approntamento di terrapieni e palizzate.
Inizialmente il sergente aveva salutato l'attività degli Imperiali come un successo per i difensori, un'interruzione dell'avanzata nemica; ma dopo un po' di tempo si era reso conto che il Comandante nemico non aveva alcuna intenzione di fermarsi ancora a Klaghen ed intendeva proseguire invece verso sud.
Non senza prima preoccuparsi di rendere inoffensiva la guarnigione di Lord Elmar: la cintura di fortificazioni intorno al castello avrebbe impedito ai difensori della fortezza di rompere l'assedio se non al prezzo di forti perdite.
"E così siamo di nuovo nei guai…" - disse una voce alle spalle dei due esploratori.
"E' così, signore. Purtroppo…"- rispose rispettosamente Muster al terzo individuo. Del drappello di dieci uomini nascosti sulle montagne e comandati dal sergente Muster faceva parte un "ospite" imprevisto: il mago Ravendel. Costui era il consigliere privato di Lord Elmar, un uomo intelligente, colto e rispettato da tutti nel castello. Elmar aveva però insistito affinchè si allontanasse dalla fortezza prima dell'assedio, per evitare di rimanervi bloccato. Ravendel si era opposto all'idea, quasi un atto di codardia di fronte al nemico, ma Elmar aveva spiegato quanto fosse necessario che un uomo di fiducia osservasse la battaglia da lontano, e fosse libero di viaggiare verso sud per fornire un resoconto preciso della situazione a coloro che avrebbero dovuto successivamente difendere i territori meridionali.
Così Ravendel, sotto la scorta di Muster e dei suoi uomini, aveva osservato di nascosto l'esito dello scontro, si era reso conto delle ulteriori intenzioni del Duca Whilhem ed era ormai pronto a cavalcare verso sud, alla massima velocità, per aiutare i responsabili delle difese meridionali.
"Sergente, penso che sia tempo di andare…"- aggiunse, voltandosi verso il fitto sottobosco.
"Siamo pronti a partire, signore"- in quel momento gli occhi acuti del sergente notarono un particolare significativo nella scena davanti loro - "…anche se forse il nostro lavoro qui non è ancora finito".
Preceduto e seguito da due squadroni di cavalleria pesante, un piccolo gruppo di cavalieri avanzava nella valle dietro ad un alto vessillo nero.
"Vedi quella figura con la tunica rossa sopra l'armatura, Lewin, …esattamente dietro il vessillo nero ?".
Il giovane annuì, incuriosito. "Quello dev'essere il Duca che comanda l'intera armata: la tunica rossa è il segno distintivo dei Comandanti imperiali di alto rango" - spiegò il sergente - "…e passerà sotto di noi tra una ventina di minuti ".
Rapidamente Muster impartì ordini al resto del drappello, affinchè si mettessero immediatamente in movimento attraverso i boschi assieme al mago Ravendel, per accompagnarlo nella temporanea sicurezza del sud a completare la sua missione.
Poi fece segno a Lewin di seguirlo giù verso il fondovalle, dove gli alberi si facevano più radi ed il pericolo di essere scoperti era più grande.
"Siete sicuro di ciò che state per fare, Sergente ? Quegli uomini passeranno comunque ben lontani da qualsiasi possibile nascondiglio ai margini del bosco"- disse il mago con una nota di preoccupazione nella voce, mentre montava a cavallo.
" Non vi preoccupate per noi, signore. E per quanto riguarda la lontananza di quegli uomini, nelle ultime settimane ho visto questo ragazzo usare la balestra così come non avrei mai creduto possibile "- rispose il sergente, indicando Lewin.
Il mago posò lo sguardo sul giovane, e dopo pochi istanti il suo viso si fece perplesso; Lewin si accorse, istintivamente, che il mago stava tentando di esaminare i suoi pensieri.
"C'è qualcosa di strano in te, giovanotto…, la tua mente mi appare diversa, fuori dal comune… sei già stato addestrato nel campo delle arti magiche ?".
"No signore"- rispose Lewin perplesso ed un po' preoccupato.
"Allora" - aggiunse Ravendel voltando il cavallo per andarsene -"quando tutto questo sarà finito, vedremo di approfondire ulteriormente la questione ed indagare con calma sul tuo passato, giovane arciere".
Muster salutò il drappello che si allontanava con un cenno della mano: " Appuntamento alla cittadina di Fringen tra due settimane "- furono le ultime disposizioni del sergente ai suoi esploratori -" se non ci trovate già lì, proseguite e scortate Lord Ravendel verso sud: penseremo noi a raggiungervi quando avremo finito di divertirci".

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Lord Elmar ed Erik Fendor si trovavano entrambi sulle mura, guardando silenziosi le colonne imperiali che sfilavano nella valle.
Fu Elmar a rompere il silenzio: "E' la seconda volta che mi trovo il Duca di fronte, anche se è difficile che lui se lo ricordi. Circa dieci anni fa ero al comando di un reggimento nel settore di Irpiz, nella tratto sud-orientale del fronte. Nel quadro di una grande offensiva degli Imperiali, una divisione di fanteria leggera fece breccia nel nostro settore ed irruppe nelle retrovie prima che io potessi reagire: mi ricordo che fummo costretti a ritirarci per almeno venti miglia, in seguito a quella penetrazione. E' inutile che ti dica chi fosse il Comandante di quella Divisione".
"Due giorni fa però non è finita allo stesso modo…"- replicò rispettosamente il cavaliere.
"Una vittoria tattica, però con poco significato strategico: speravo di fermarli per un tempo più lungo. Ecco perché ti avevo detto di provocarli durante il colloquio e sfidarli a tentare di nuovo l'assalto al castello.
Non che mi facessi illusioni: il Duca è troppo esperto per abboccare ad una simile provocazione ".
"Se fosse dipeso solo dal suo vicecomandante" - commentò Fendor - " il nipote dell'Imperatore, ora sarebbero ancora lì a costruire arieti e torri d'assalto".
In lontananza si profilò lo stendardo nero del Duca che, con la sua scorta di cavalieri, stava attraversando a sua volta la valle diretto a sud. Lord Elmar si voltò verso un suo segretario e diede ordine di suonare tre squilli di tromba: Whilhem poteva essere un nemico mortale, ma meritava il rispetto dovuto ad un buon soldato.
Gli squilli risuonarono alti, e sia Elmar che Fendor sollevarono la spada in alto in segno di saluto verso la lontana figura del Duca, riconoscibile dalla tunica rossa.

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Lewin, steso a terra lungo il bordo destro di un grosso cespuglio, ai margini del bosco, era quasi invisibile nei suoi abiti da esploratore e con il volto nascosto dall'ampio berretto di feltro verde. La balestra nera si confondeva con i rami spezzati e caduti sull'erba: il giovane la sollevò e si concentrò. In pochi istanti entrò in uno stato di trance, in cui il tempo sembrava essersi fermato ed i suoi sensi acuiti al massimo: la figura a cavallo, lontana più di duecentocinquanta passi, sembrò avvicinarsi ed ingrandirsi, mentre il suo istinto sembrò anticipare esattamente ogni minima variazione della leggera brezza che percorreva la valle, e che avrebbe potuto deviare il tiro. Era ciò che gli succedeva ormai da anni, ogni volta che andava a caccia, ma in quel momento la tensione della situazione acuì ancor di più quelle sensazioni.

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Il Duca volse lo sguardo in direzione delle mura nel momento in cui gli giunse alle orecchie l'eco degli squilli di tromba; aguzzando la vista scorse sugli spalti alcuni ufficiali dell'Esercito del Re che stavano levando le spade in segno di saluto nei suoi confronti, e sorrise lusingato.
"Questo Elmar non deve essere poi tanto male, se ricorda le regole della cavalleria. Chissà se ci siamo già incontrati da qualche parte, nel corso di questa sporca guerra" - disse, rivolto a Gotrek, sfilando a sua volta dal fodero la sua lunga spada dipinta di nero, vecchia ma dal taglio affilatissimo.
Il suo vicecomandante, che gli cavalcava al fianco, non disse nulla ma la smorfia che gli si disegnò sul viso alle parole "sporca guerra" ed il rifiuto a sollevare la spada per rispondere al saluto dei Reali la diceva lunga sul suo dissenso.
Whilhem si alzò sulle staffe della sella e levò alta la sua arma, sicuro di essere stato riconosciuto anche da lontano. Fu in quel momento che sentì un sibilo provenire dalla sua sinistra: un attimo dopo un colpo improvviso al fianco lo sbilanciò, ma riuscì comunque a mantenersi in sella.
Il Duca abbassò stupito lo sguardo e si accorse del dardo nero conficcato nel suo fianco sinistro, un paio di palmi al di sotto dell'ascella.
Il dardo era lungo e spesso: sicuramente era stato lanciato da un'arma potente, ma la distanza del tiro e la corazza che Whilhem indossava avevano notevolmente attutito la sua capacità di penetrazione, altrimenti il Duca sarebbe stato passato da parte a parte senza neanche fermare la freccia.
Il dardo invece si era bloccato una volta sfondata l'armatura, scalfendo solo con un taglio la pelle del fianco. Una ferita superficiale per fortuna, che gli doleva ben poco, pensò il comandante imperiale, e si volse a sinistra per capire da dove fosse venuto il tiro.
Il fondovalle era una piatta distesa erbosa per almeno duecentocinquanta passi, dopo di che cominciava un filare di cespugli che saliva verso est, perdendosi tra le pendici del fitto bosco che ricopriva le montagne intorno alla valle.
Nessuno avrebbe potuto nascondersi nell'erba bassa, per cui l'autore dell'agguato doveva per forza trovarsi in mezzo ai cespugli. Un tiro notevole, si sorprese a pensare il Duca, mentre il suo seguito si parava davanti a lui per coprirlo e qualcuno si accingeva a prestargli soccorso.
Fu in quel momento che il veleno cominciò a fare effetto: il micidiale infuso di erbe tossiche in cui era stata intrisa la punta della freccia fece perdere in pochi istanti conoscenza a Whilhem, il quale si accasciò sulla sella iniziando a scivolare da cavallo.
Subito dopo la pesante caduta sull'erba, il suo cuore cessò di battere.

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Lord Elmar ed Erik Fendor rimasero ancora per alcuni istanti con la spada sollevata, perplessi.
Il cavaliere con la tunica rossa era a terra immobile, forse in preda ad un malore, circondato da un nugolo di ufficiali che tentavano di soccorrerlo e rianimarlo. Improvvisamente uno di loro si alzò e gridò qualcosa ai due comandanti degli squadroni di scorta, che precedevano e seguivano il piccolo corteo del Duca.
Pochi istanti dopo i due reparti di cavalleria si lanciarono al galoppo verso le pendici delle montagne che costituivano la parete orientale della valle, con le armi in pugno, allargandosi per coprire una fronte sempre più ampia.
Fu Fendor a rompere il silenzio: "Sembra che qualcuno abbia colpito Whilhem…ed ora la scorta sta cercando di catturarlo!!".
Elmar tacque, osservando da lontano gli inutili tentativi di rianimare il Duca, dopo di che disse: " O è una messinscena degli Imperiali, ma non ne vedo lo scopo, o qualcuna delle nostre pattuglie di esploratori ha messo a segno un gran colpo. Però… saranno stati quasi trecento passi… pensavo che neanche Muster fosse capace di tanto… un tiro ottimo…e fortunato!!".
Fendor riflettè alcuni istanti, ricordandosi di chi Muster si fosse portato con sé, dopo di che replicò: "Non credo che sia stato Muster a tirare, e non credo neanche che si sia trattato di fortuna".
"Allora spero di conoscere presto quel tiratore micidiale: ci ha fatto un gran favore, Whilhem era un vero osso duro. E' meglio per noi che l'Armata del Nord passi nelle mani dell'imbecille dalle nobili origini ".
E poi, dopo una lunga pausa, diede voce a ciò che entrambi stavano pensando: "…era un buon soldato…".

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Lewin Talamor raggiunse correndo a testa bassa il folto del sottobosco; alle sue spalle udiva il rumore degli zoccoli dei cavalieri imperiali, lanciati al galoppo, mentre coprivano veloci la distanza che li separava dal limitare del bosco. Lo avrebbero raggiunto in pochi minuti, se fosse rimasto a piedi, ma davanti a lui e dietro una sporgenza del terreno scorse il sergente Muster, già a cavallo, che teneva per le briglie la cavalcatura di Lewin.
Il ragazzo montò agilmente in sella ed i due si lanciarono al galoppo verso l'interno del bosco, risalendo rapidi le pendici della montagna.
Avevano poco vantaggio sui loro inseguitori, ma le cavalcature degli imperiali erano appesantite dalle armature metalliche dei cavalieri e dalle bardature da battaglia, per cui ben presto si trovarono in difficoltà a risalire in mezzo al fitto sottobosco i pendii che si facevano sempre più ripidi. Al contrario, i due esploratori volavano leggeri verso est, guadagnando terreno ed altitudine.
Dopo una ventina di minuti, Lewin e Muster pensavano di essere ormai quasi in salvo e rallentarono per far riposare i cavalli; forti rumori nel bosco, però, gli fecero intendere che gli inseguitori, pur a fatica, non avevano abbandonato la caccia ed anzi continuavano a seguire con rinnovato impegno le chiare tracce del loro passaggio.
Muster si voltò preoccupato: "Siamo più veloci di loro, ma non possiamo risalire la montagna in eterno: presto il pendio si farà troppo ripido e dovremo girare verso sud o verso nord, paralleli alla cresta della montagna.
Loro si saranno disposti in linea, su di un'ampia fronte, e noi saremo costretti a sfilare davanti ad una delle loro ali, alla cieca in mezzo al bosco; sarà una corsa contro il tempo !! " - terminò gridando preoccupato, ritto sulle staffe e con il fiato corto.
Lewin non replicò neanche, già in difficoltà a tenere il suo cavallo in vista di quello del sergente e ad evitare i fitti rami degli alberi che gli sfilavano accanto. Ad un certo punto sbucarono in una radura tra gli alberi, dalla quale si innalzava una parete rocciosa quasi verticale prima nascosta dalle chiome delle conifere. Muster svoltò bruscamente a destra, verso sud, costeggiando la parete ed immergendosi nuovamente nel bosco. Il sergente si trovò quindi di fronte una crepa nel terreno e spinse il suo cavallo in un lungo salto, ricadendo pesantemente dall'altro lato senza però rallentare di molto la sua andatura.
Lewin ebbe pochi attimi per rendersi conto del pericolo, si irrigidì istintivamente ed il cavallo percepì la sua paura; era una bella bestia, ma esitò quel tanto che bastò a farlo saltare male.
L'animale atterrò con le zampe anteriori dall'altra parte della crepa, ma quelle posteriori ne urtarono il bordo irregolare facendogli perdere l'equilibrio e mandandolo a rotolare tra i cespugli; Lewin fu sbalzato dalla sella prima ancora di rendersi conto di che cosa stesse succedendo, rotolò su sé stesso e si rialzò contuso ma sostanzialmente illeso, giusto in tempo per vedere il cavallo scappar via in preda al panico e sparire nel folto del bosco.
Il giovane si guardò intorno; in lontananza si udiva il frastuono provocato dagli inseguitori che incitavano le loro cavalcature, e Lewin calcolò che in qualche minuto sarebbero arrivati dove si trovava: rapidamente spezzò alcuni rami frondosi da un cespuglio vicino e si nascose in una buca del terreno, leggermente impacciato dallo zaino e dalla balestra che ancora portava a tracolla, coprendosi con i rami.
Freneticamente scavò con le mani per rendere la buca ancora più profonda, e smise solamente quando intravide nella boscaglia alcuni cavalieri a meno di venti passi dalla buca.
Con il viso nascosto tra i rami spezzati, notò che uno di loro cavalcava chino sul fianco del proprio cavallo, quasi rischiando di cadere, cercando però di non farsi sfuggire tracce di cavalli sul tappeto erboso del bosco. Giunto vicino alla lunga crepa nel terreno, a meno di dieci passi dalla buca in cui Lewin si nascondeva, non gli sfuggirono i segni dei salti dei cavalli dei due esploratori: gridando per incitare i suoi compagni, si raddrizzò sulla sella e si lanciò nuovamente al galoppo nella direzione in cui sparivano le tracce di Muster e del cavallo che era stato di Lewin.
Il giovane riflettè che il sergente non si era accorto della sua caduta, e si augurò che continuasse la fuga senza preoccuparsi di tornare indietro a cercarlo; gli inseguitori erano molti, e già Muster avrebbe avuto le sue difficoltà a scrollarseli di dosso. D'altra parte il sergente sapeva bene che Lewin era in grado di badare a sé stesso, e nel caso sfortunato in cui fosse stato fatto prigioniero non ci sarebbe stato molto che Muster avrebbe potuto fare per lui.
Dopo aver atteso alcuni minuti che il frastuono dell'inseguimento scemasse fino a scomparire, Lewin uscì dal nascondiglio e si incamminò verso est continuando a risalire la parete boscosa della montagna, diventando quell'ombra silenziosa che tanti anni di vita selvaggia avevano contribuito a rendere pressochè invisibile nel verde.

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Molte ore più tardi, verso mezzanotte, Lewin Talamor era ai piedi di una ripida parete rocciosa, sbocconcellando un pezzo di carne secca e salata. Aveva trascorso la giornata proseguendo cautamente la salita verso la cresta della catena di montagne che, con andamento nord-sud, separava la valle di Klaghen da quella contigua e parallela che si trovava più ad est.
Il giovane aveva deciso infatti di raggiungere l'altra valle, sicuramente deserta, per poi procedere più speditamente verso sud e sopravanzare, nonostante fosse ormai a piedi, l'Armata imperiale nella sua calata.
Lewin avrebbe anche potuto passare tra le maglie imperiali nella stessa valle di Klaghen, era sicuro di poter sgattaiolare inosservato, ma il suo procedere avrebbe necessariamente dovuto essere più cauto; in quel modo invece, si sarebbe mosso veloce nella relativa sicurezza di non incontrare nessuno per molte decine di miglia. La cresta montuosa era infatti abbastanza impervia, superabile solo a piedi con un carico leggero, e sicuramente gli imperiali avrebbero preferito procedere direttamente a sud lungo il comodo fondovalle di Klaghen.
Si era ripromesso di affrontare l'ultima ascensione sulle rocce fino allo spartiacque ed alla successiva discesa sull'altro versante alle prime luci dell'alba, ma la luna piena illuminava talmente il paesaggio che il giovane si sentiva sicuro di poter risalire la parete già durante la notte, per mettersi il valico alle spalle prima dell'indomani mattina.
Mandato giù l'ultimo boccone, Lewin si sfregò le mani guantate prima di attaccare la parete e si voltò un attimo indietro, in basso, verso il fondovalle. Alcuni punti luminosi segnalavano sia la posizione del castello sia i presidi posti dagli assedianti, ma per il resto la valle era immersa nel silenzio e nell'oscurità: il grosso dell'Armata era già sfilato a sud, seguendo il corso del torrente, ed era ormai invisibile.
Intorno al giovane, data l'alta quota, la vegetazione era rada, l'aria fredda e pungente ed il paesaggio desolato. Vicino alla sommità delle montagne la neve ed il ghiaccio cedevano il passo solo per pochi mesi all'anno, ed i fitti boschi di conifere terminavano molto più in basso. Intorno al giovane quindi mancavano i familiari rumori notturni del bosco, sostituiti dal sibilare del freddo vento proveniente da nord, e Lewin si strinse nella tunica verde, rabbrividendo.
Nulla si muoveva intorno a lui, quasi un incantesimo che il giovane spezzò iniziando vigorosamente ad arrampicarsi; aveva fatto pochi metri quando un lunghissimo ululato, molto più profondo nel normale, attraversò la valle provenendo da un picco a nord non troppo lontano in linea d'aria dalla sua posizione.
Non era poi tanto solo a quelle altezze, riflettè, e riconobbe quella strana sensazione nella sua mente che ormai lo accompagnava in tutti i suoi viaggi: un paio d'occhi fiammeggianti che lo scrutavano nella sua stessa coscienza, inquietanti ma non apertamente ostili.
Dopo alcuni interminabili istanti l'ululato infine si spense, e con esso anche la visione mentale; con rinnovata energia, il giovane riprese a salire.

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