Capitolo IX - Il viaggio
Il piccolo pezzo di pane nero galleggiava pigramente sulla superficie del fiume, seguendone la lenta corrente. Ad una distanza di venti passi dalla riva, era poco più di un puntino scuro nelle acque di un profondo colore verde-azzurro.
Il suo viaggio durò poco: un brevissimo tremito della superficie dell'acqua tradì la presenza della trota, che lo addentò reimmergendosi immediatamente.
Lewin, però, l'aveva vista: spezzò un altro piccolo pezzo di pane e lo lanciò nel fiume, questa volta più vicino alla riva, dopo di che impugnò il leggero arco di legno.
La trota non riuscì a resistere alla nuova tentazione: si avvicinò al pane percorrendo prima larghi giri, e poi fermandosi un attimo prima di lanciarsi. L'occhio allenato di Lewin manteneva la freccia puntata sul pezzo di pane, e quando il puntino nero venne coperto per un attimo dalla schiena bruna del pesce che emergeva per ingoiarlo, Lewin lasciò la corda.
La freccia percorse in un baleno i dieci passi di distanza e si conficcò nel corpo della trota: il pesce tentò di dibattersi e scappare, ma la coda della freccia era legata all'arco da un sottile filo di canapa.
Lentamente, Lewin recuperò il filo, trascinando il pesce verso la riva. Quando lo sollevò dall'acqua e lo depositò in secco sull'erba, si rese conto che doveva pesare almeno un paio di chili: l'ideale, per una cena per due persone.* * *
Era ormai notte quando il Mago ebbe terminato di accendere il fuoco, pulire il pesce e farcirlo con un misto di erbe aromatiche, bacche, radici e funghi. Messo a rosolare sul focolare, spandeva un aroma delizioso nell'aria frizzante di quella sera di settembre. Con la schiena appoggiata ad un grosso tronco, Lewin osservava pensieroso il fumo che si innalzava dalla sua pipa.
Un leggero fruscio tra gli alberi che circondavano la radura lo fecero voltare; dalle ombre del bosco una figura si fece avanti verso il fuoco, lasciando cadere vicino al Mago quattro grosse lepri.
"Conviene che le spelli, tagli le carni a strisce e le lasci seccare sul fuoco, Lewin, così i prossimi giorni non dovremo perder tempo per andare a caccia " - disse Alina Therin lasciando la balestra per terra, vicino ai due cavalli legati ad un albero.
"Cosa dovrei fare !?? ".
" Non fare il delicato, Mago. Lo farei io, ma ho voglia di farmi un bagno nel fiume, cosa che in verità dovresti fare anche tu. Sono dieci giorni che viaggiamo, e tra poco gli Imperiali non avranno bisogno di venirci a cercare, gli basterà seguire la puzza".
Lasciando Lewin a bocca aperta, l'Immortale si diresse verso l'acqua, ad un centinaio di passi dal fuoco. Alla fioca luce della luna, lasciò lo zaino sulla riva e si tolse gli stivali, l'armatura, la tunica e i pantaloni, tuffandosi poi nelle fredde acque nere.
Un leggero sorriso si disegnò sulle labbra del Mago: avrebbe potuto amplificare i suoi sensi per guardare la donna, ma qualcosa lo trattenne. Riflettè invece sui giorni precedenti: avevano viaggiato veloci, anzi velocissimi, evitando le strade troppo frequentate e tagliando direttamente verso Nord attraverso le ampie pianure. Per evitare il rischio di spie ed informatori Imperiali avevano evitato accuratamente ogni centro abitato ed erano ormai quasi alle pendici meridionali dei Monti Uroni, sempre diretti a Nord. Avevano però finito i pochi viveri che si erano portati al seguito, ed erano stati costretti a dedicare qualche ora alla caccia ed alla pesca. Non avevano parlato molto nel frattempo, ognuno immerso nei propri pensieri. Lewin stava però incominciando ad apprezzare il piacere di quella silenziosa compagnia, instancabile quanto efficiente.
Si decise infine ad alzarsi, e con pochi abili colpi di coltello spellò le lepri, le tagliò in strisce, le cosparse di sale e le stese vicino al fuoco: l'indomani mattina sarebbero state pronte per essere conservate negli zaini.
Mentre terminava, con la coda dell'occhio vide la donna uscire dall'acqua, prendere la tunica ed i pantaloni e lavarli nelle acque del fiume. Poi tirò fuori dallo zaino un'altra tunica pulita, la indossò, infilò gli stivali e ritornò verso il focolare. Dopo aver quindi lasciato i vestiti bagnati vicino al fuoco, la donna lucidò accuratamente i vari pezzi della sua armatura e solo allora iniziò a mangiare con le mani la metà della trota che Lewin, nel frattempo, le aveva lasciato.
Il Mago, nuovamente seduto contro il tronco dell'albero e con la pipa tra le labbra, la fissava tra le ampie volute di fumo. Le gambe della donna, nude dagli stivali al bordo della tunica, erano lunghe ma troppo muscolose per i suoi gusti. Il viso però, incorniciato dai capelli biondi sciolti e gocciolanti, sembrava meno duro del solito. Forse perché, per la prima volta, la vedeva chiaramente senza l'armatura da Paladino indosso.
"Devo dire, Mago" - esordì Alina leccandosi la punta delle dita - "che se un domani tu fossi costretto a cambiare lavoro, come cuoco hai un futuro assicurato. Non ho mai mangiato un pesce così buono. Cos'è che hai messo dentro ?".
"I grandi cuochi, come i grandi Maghi, non rivelano mai i loro segreti. Forse, un domani, se mi arruolerai tra i cuochi della tua Legione, potrei fare un'eccezione…".
"Allora siamo d'accordo, aspetterò" - concluse Alina. Prese quindi il sacco a pelo e vi si infilò dentro. "Fai tu il primo turno di guardia" - e scivolò in un sonno profondo.
Lewin assaporò la pace e la serenità del bosco, senza quasi accorgersi del passare delle ore. Verso mezzanotte, si rese conto che, per la prima volta dall'inizio del viaggio, la donna non si era svegliata da sola per dargli il cambio. La lasciò dormire, e poco prima dell'alba si recò anche lui al fiume per fare un bagno e lavarsi i vestiti.
Il sole sorse quando, spento il fuoco, aveva da poco terminato di smontare il piccolo campo. Alina si svegliò di soprassalto: "Non mi hai svegliato…" - disse mentre usciva dal sacco a pelo.
"Mi sono addormentato anch'io" - mentì Lewin, salendo a cavallo.
Alina, indossando l'armatura e legandosi i capelli a treccia, non disse nulla ma lo guardò fisso: l'espressione faceva intendere, naturalmente, che non gli credeva neanche un po'.* * *
Due giorni dopo, i due viaggiatori si erano ormai inerpicati sulle pendici meridionali dell'aspra catena dei Monti Uroni, che occupava la parte centrale delle Terre Conosciute e che costituiva parte del confine tra l'Impero di Argan ed il regno di Dremlund.
"Continuando in questa direzione, Mago, saremo costretti ad attraversare i picchi più alti di questa catena. Se la nostra meta è al Nord, sarebbe comunque meglio costeggiare la linea pedemontana fino al fronte, e poi tentare di attraversarlo, senza essere fatti a pezzi, per entrare nelle terre dell'Impero. Fare altrimenti sarebbe una pazzia: mi risulta che pochi uomini siano mai riusciti ad attraversare i Monti Uroni là dove sono più aspri ".
"E' possibile che ci stiano già cercando, Alina. Non sarebbe affatto facile attraversare il fronte, e neanche le ampie retrovie degli eserciti Imperiali. Inoltre, girare intorno ai Monti Uroni ci farebbe perdere del tempo. La scelta migliore è quella di attraversare le montagne: come sai, sono così aspre che non solo non vi si svolgono combattimenti, ma non sono presidiate che da qualche pattuglia dei due eserciti, in corrispondenza dei valichi meno impervi. Le zone centrali della catena, le più alte, sono deserte e sono ritenute pressochè invalicabili. Se passiamo per di là, ci ritroveremo poi sull'altro versante, ben all'interno delle terre Imperiali e lontano dai teatri dei combattimenti. A quel punto, proseguire indisturbati verso Nord dovrebbe essere più facile".
"Due domande: primo, cosa vuol dire che è possibile che ci stiano già cercando ? Non dovremmo essere noi a cercare qualcun altro ? O siamo noi le prede invece che i cacciatori ? Secondo, se le montagne più alte sono ritenute invalicabili, come faremo noi a valicarle ? ".
"Per la prima domanda, ti risponderò quando saremo più vicini alla nostra destinazione, e quando anch'io ne saprò di più. Per la seconda, io valicherò quelle montagne. Per quanto ti riguarda, tocca a te decidere se seguirmi o meno"- gli occhi di Lewin erano fissi in avanti, sul sentiero che serpeggiava tra i boschi.
Dopo un lungo silenzio, Alina replicò: "Per attraversare una regione di ghiacciai perenni, avremo bisogno di procurarci un equipaggiamento adatto".
"Ad un paio di giorni di viaggio da qui c'è un piccolo villaggio, l'ultimo avamposto del Regno prima che i Monti Uroni diventino inabitabili: là potremo acquistare tutto ciò che ci serve".* * *
Alcune ore dopo, mentre attraversavano un prato lungo il fondovalle di una delle vallate dei monti Uroni, Alina si irrigidì sulla sella: "C'è qualcuno davanti a noi…".
Lewin si limitò a fissarla senza replicare.
"Ho intravisto un riflesso nel bosco davanti a noi, ad un paio di centinaia di passi dal margine del prato… un riflesso metallico. Ora non lo vedo più, ma sono sicura di non essermi sbagliata: c'è qualcuno nascosto, forse pronto per un agguato"- continuò, sganciando nel contempo le cinghie che legavano l'ascia e lo scudo alla sella del cavallo.
Lewin la guardò: "Sono dieci uomini, tutti a cavallo. Quattro balestrieri e sei guerrieri. E ci hanno avvistato quando siamo entrati nel fondovalle".
"Sai chi sono ? ".
" So che sono nemici ".
"Possiamo combatterli, o cercare di evitarli ".
"Certi fastidi è meglio risolverli definitivamente".
" Sono d'accordo ".
" Continuiamo facendo finta di non esserci accorti di niente".
"Per me va bene, Mago. Ma stai attento, se veramente ci sono quattro balestrieri. Non hai né armatura, né scudo, ed io ho già visto qualche Mago ucciso da una freccia alle spalle".
Lewin sorrise: "Posso stare tranquillo. Ci sei tu a coprirmi le spalle".
Senza fretta, i due proseguirono tra l'erba alta e si inoltrarono quindi nel bosco; lo stretto sentiero si intravedeva a fatica tra i fitti alberi, e Lewin portò il suo cavallo davanti a quello del Paladino.
Ad un certo punto, senza alcun preavviso, il sibilo sinistro di una freccia ruppe la serena quiete del sottobosco: il dardo, proveniente dalla sinistra del sentiero, raggiunse in un baleno il punto in cui si trovava la testa di Lewin.
Il Mago, però, si era già lasciato rotolare a terra nel momento stesso in cui la freccia era partita dalla balestra. Contemporaneamente, cinque cavalieri irruppero urlando da tutte le direzioni. Un'altra freccia volò in direzione dell'Immortale ma questi, reagendo con velocità innaturale, sollevò lo scudo d'acciaio e la respinse.
Continuando a rotolare sul terreno, Lewin si rialzò in ginocchio, sfilò il leggero arco di legno che portava sulla spalla, in un unico fluido movimento estrasse una freccia dalla faretra a tracolla e la tirò, senza quasi mirare. Il balestriere, nascosto tra i cespugli, la ricevette in pieno viso e cadde stecchito all'indietro.
Un altro balestriere scoccò un terzo dardo, ma Lewin rotolò nuovamente sull'erba prima di essere raggiunto e tirò una seconda freccia, uccidendolo.
Con movimenti rapidi e precisi il Mago tirò quindi una terza ed una quarta freccia, eliminando gli ultimi due balestrieri.
L'Immortale, mentre si predisponeva a reggere l'urto dei cavalieri, notò che l'ultimo balestriere era stato colpito solamente ad un braccio, ma era rimasto ugualmente immobile a terra: le frecce del Mago dovevano essere avvelenate, e con un veleno potentissimo.
Il primo cavaliere si lanciò sull'Immortale con la lunga spada protesa in avanti, ma il Paladino la deviò con il piatto della scure e conficcò poi la lama nella schiena dell'aggressore, spezzandogli la spina dorsale e ferendolo mortalmente.
Un secondo cavaliere attaccò quasi contemporaneamente dall'altro lato, ma l'Immortale prima schivò il colpo di spada e poi affondò la scure nella gamba dell'avversario, tagliandola quasi di netto.
Un terzo cavaliere, davanti alla rapida eliminazione dei primi due, esitò quell'attimo necessario al Paladino per impugnare la balestra agganciata alla sella e scoccargli una freccia in pieno petto, che sfondò l'armatura e gli trafisse il cuore.
Un altro cavaliere, urlando sotto la visiera abbassata dell'elmo, tentò di assalire il Mago ancora inginocchiato sull'erba; questi però sfilò un coltello dalla cintura, lanciandolo poi verso la feritoia per gli occhi che si apriva sulla visiera stessa. L'apertura era larga solamente alcune dita ma il coltello vi si infilò con precisione, penetrando nell'occhio destro e quindi nel cervello del nemico. L'Immortale, nel frattempo, eliminò l'ultimo avversario.
Lo scontro non era durato più di pochi istanti: sette avversari erano morti, ed altri due giacevano a terra privi di conoscenza e feriti mortalmente. L'Immortale scese da cavallo e si rivolse al Mago: "Puoi ricavare qualcosa dalle menti dei due superstiti ? ".
Lewin si concentrò, ma poi scosse la testa. "Le loro menti sono ottenebrate dal dolore, e non gli resta molto da vivere".
L'Immortale sollevò quindi la scure e la calò due volte, tagliando loro le teste.
"Ora non soffriranno più".* * *
La ricerca di indizi tra le vesti e gli equipaggiamenti degli assalitori non portò ad alcun risultato: l'unica informazione degna di nota era nel tipo di armature, prive di insegne ma di chiara foggia Imperiale.
Mentre Lewin rimontava a cavallo, Alina si trattenne ad osservare le orme impresse nel sottobosco.
"Qui ci sono nove cadaveri".
"Esatto".
"Prima dello scontro avevi detto che gli avversari erano dieci, ed infatti qui intorno ci sono tracce di dieci cavalli ".
"E' giusto. Erano in dieci".
"Allora l'ultimo si deve essere allontanato prima del combattimento. Probabilmente per riferire a qualcuno del nostro avvistamento".
"Probabilmente".
"Dovremmo inseguirlo".
"Temo che sia troppo tardi " - rispose il Mago.
"Non è troppo tardi. Se ci muoviamo subit…" - un lungo e sinistro ululato echeggiò lontano alla loro sinistra, vicino alla linea di cresta.
Fu Alina a rompere il pesante silenzio che seguì: "Presumo che un paio di enormi mascelle da Lupo abbiano appena spezzato una vita umana, Mago".
"Presumi bene, Paladino".* * *
Il villaggio di Namur, dove giunsero due giorni dopo, non era che un pugno di case in una stretta vallata, posta ad una quota piuttosto elevata tra due alti gruppi montuosi. Non contava più di un centinaio di abitanti, compresa una piccola guarnigione di dieci soldati reali con funzioni di sorveglianza della regione e di polizia del villaggio.
Il caporale in comando, alla notizia dell'arrivo di un Paladino della Legione, si presentò subito a comunicare la situazione ed a ricevere eventuali disposizioni.
Il caporale riferì che nei paraggi erano state avvistate tracce di una decina di cavalli, vecchie di diversi giorni, che non seguivano i tradizionali sentieri dei cacciatori di pellicce. Gli uomini inviati ad investigare, però, non avevano rilevato alcun contatto.
Alina e Lewin si recarono poi nell'unico emporio del paese, dove acquistarono mantelli, tuniche, calzoni e stivali foderati in morbida pelle d'orso, piccozze, racchette da neve ed una piccola slitta.
Giunta ormai la sera, decisero di cenare e pernottare nell'unica locanda del villaggio, per godersi un pranzo ed un letto degni di questo nome, prima della lunga traversata che li attendeva.* * *
"Tu non sei male come cuoco, Lewin" - disse Alina raccogliendo con il pane il sugo della enorme porzione di stufato che aveva appena mangiato - "ma la padrona di questa locanda ti batte di gran lunga".
"Andrò a chiedergli la sua ricetta segreta" - replicò il Mago, che aveva già iniziato un secondo piatto di stufato e patate.
Alina allontanò un poco la sedia, sollevò le gambe poggiando gli stivali sul bordo del tavolo e scolò quasi completamente il boccale da litro pieno di birra.
Il secondo. Lewin, masticando, sollevò un sopracciglio: "Pensavo che tutti i Paladini fossero gente virtuosa: bere, abbuffarsi, fumare o pensare all'altro sesso non dovrebbe essere nel loro stile".
"Tu pensi troppo, Mago. E' questo il tuo problema".
Lewin sorrise con la bocca piena.
"In realtà, avresti ragione. Ma una regola della Legione è anche quella che c'è un tempo e un luogo per tutte le cose. E questi mi sembrano il tempo ed il luogo adatti per mangiare e bere come si deve".
Terminato il secondo piatto di stufato, ed il terzo boccale di birra, Lewin tirò fuori la sua pipa e l'accese. Nella grande sala della locanda, l'unico ritrovo serale per tutto il villaggio, vi erano una trentina di persone: alcuni soldati, alcuni cacciatori ed alcuni dei contadini che abitavano il villaggio, cioè quasi tutta la popolazione maschile di Namur. Gli altri uomini erano stati reclutati e spediti al fronte a combattere in quella interminabile guerra, e le loro mogli e vedove costituivano ormai da tempo la maggioranza degli abitanti di Namur.
Alina ruppe il silenzio: "Voglio farti una domanda, Mago. Cosa ne pensi degli Dei ? ".
Lewin la fissò per un attimo sorpreso, dopo di che aggiunse altro tabacco nella pipa.
Alina continuò: "So che i Maghi non hanno una posizione comune, sul potere degli Dei, sulla loro influenza sulle vicende umane e sulla loro stessa natura. Mi sembra che alcuni Maghi arrivino addirittura a negarne l'esistenza ".
"Per caso, la tua domanda sugli Dei è collegata a questa guerra senza fine, ed al perché gli Dei la lascino continuare senza porre fine ai lutti ed alle sofferenze ? ".
"… Sì, in effetti la mia domanda è collegata anche a questo".
Lewin sospirò, esitò alcuni istanti e poi iniziò a parlare:
"Il Maestro, una volta, mi disse che è un grosso errore immaginare gli Dei simili agli uomini. Essi non sono soggetti ad emozioni, a sentimenti, a desideri, a paure, a delusioni come noi esseri umani. Essi seguono semplicemente lo svolgersi dell'Universo: per loro uomini che si uccidono, animali che si mangiano, fiumi che scorrono, stelle e pianeti che brillano sono esattamente la stessa cosa. In un certo senso, si può dire che un Dio consista in ciò che rappresenta: il Dio del Sole "è" il Sole, il Dio dei Venti "è" l'insieme di tutti i venti della terra, la Dea della Terra "è" la terra, il Dio dei Vulcani "è" l'insieme di tutti i vulcani, ed i vulcani, come il loro Dio, sono assolutamente indifferenti agli esseri umani.
Una volta il Maestro disse: quando invochiamo gli Dei, non facciamo altro che gridare a noi stessi la nostra piccolezza di fronte all'Universo".
"Ma questo non potrebbe significare che gli Dei non esistono ?".
"Gli Dei esistono, perché esistono le cose che essi rappresentano. Questo non vuol dire che ci vogliano bene…".
"Dovrebbe però esistere un Dio supremo… un essere superiore a tutte le cose…".
"Esiste, naturalmente. E' l'insieme di tutti gli Dei, cioè l'Universo".
"Ma anche l'Universo è soggetto ad un altro Dio: a Kronos, il Dio del Tempo, che scandisce tutto il fluire delle cose".
"Il Maestro disse: l'Universo non è l'insieme di tutte le cose che esistono in questo momento: l'Universo è tutto ciò che è esistito, tutto ciò che esiste e tutto ciò che esisterà. I singoli istanti, i singoli giorni, i singoli secoli non sono altro che singole onde nel mare dell'Universo, singole linee nel suo quadro immenso ".
"…e la vita di un animale, o di un Demone, o di ognuno di noi è solo una di queste linee, così come il rotolare di un sasso o lo scorrere di un fiume…"
"Impari presto, Alina. Facciamo tutti parte di Dio, qualunque cosa facciamo e qualunque cosa accada".
"Mi sarebbe piaciuto conoscere il tuo Maestro".
"…credo che, dopo averti spezzato, anche tu gli saresti piaciuta ".
Alina rovesciò la testa all'indietro e rise: "Così come ha spezzato te?? Allora meglio di no. Per l'Universo non farà alcuna differenza, ma la mia linea mi piace così come io stessa voglio che sia, e soprattutto non troppo breve ".
"Piuttosto difficile, con il mestiere che ti sei scelta ".
"La spada o la freccia capace di uccidermi deve ancora essere fabbricata, Mago ".
"Ma la creatura che lo farà, potrebbe già essere in giro…"
" Provo già pena per quella creatura sfortunata, Talamor. E adesso o smetti di fumare davanti ai miei occhi o mi presti quella dannata pipa. Dopo una cena così, non c'è nulla di meglio dell'aroma di un buon tabacco".
"Sei una sorpresa continua, Alina".
"Per te le sorprese finiscono qui. Mi dai quella pipa, o devo chiederla a qualcun altro ? ".
Lewin aggiunse dell'altro tabacco nella pipa, stando attento a non schiacciarlo troppo e rischiare di spegnerla, dopo di che la passò alla donna.
"Erano tre anni che non fumavo più" - disse Alina con un'espressione soddisfatta - "ma è vero che c'è un tempo ed un luogo per tutte le cose ".
La padrona della locanda, vedendo che avevano terminato di pranzare, si avvicinò al loro tavolo con una piccola bottiglia.
"Questo liquore l'ho distillato con le mie mani " - disse rivolta a Lewin, lasciando la bottiglia sul tavolo - spero che piaccia a voi ed alla vostra compagna".
"Non so cosa intendiate dire "- si accigliò Alina - "ma non sono la sua compagna ".
Dopo aver assaggiato il distillato di erbe, Lewin si complimentò con la donna: "Vostro marito è un uomo fortunato, signora".
"Sono vedova, straniero. Vedova di guerra, da quattro anni ".
"Mi dispiace. Mi sembra che non siate l'unica, nel villaggio".
"Infatti. Namur ha pagato e sta pagando un prezzo elevato, per questa guerra. Comunque, il tempo pian piano lenisce le ferite. Spero che la cena sia stata di vostro gusto, cavaliere. Sappiate che sono a vostra disposizione, e per qualsiasi cosa" - le ultime parole furono dette con un sorriso e con un'occhiata inequivocabili.
Lewin guardò con più attenzione la proprietaria della locanda: doveva aver superato la trentina, ma non di molto. Occhi chiari, capelli castani, un viso regolare e tutto sommato carino. L'abito copriva fino al collo un seno sicuramente abbondante, ma evidenziava una vita stretta e dei fianchi ben fatti.
Le parole di Alina furono gelide: "Ne devono essere rimasti veramente pochi, di uomini, qui in giro ! ", ma la proprietaria non le degnò di alcun commento, continuando a fissare gli occhi verdi di Lewin.
Il Mago infine si alzò, quasi maldestramente dopo tre litri di birra: "Se le tue sorprese per me sono finite, Alina, allora è meglio che io ne cerchi qualcuna da qualche altra parte, per concludere questa serata". E ciò detto, si fece guidare dalla proprietaria verso la scala che conduceva alle stanze del piano superiore.
"Ci vediamo domattina all'alba" - furono le sue ultime parole prima di sparire nello stretto corridoio.
Alina si accorse di essere rimasta a bocca aperta, e che la pipa le era scivolata dalle labbra finendo sul pavimento di legno.
"Maledetto bastardo di un Mago !! "- pensò, chinandosi a raccogliere la pipa.
Un momento. Che cosa le stava succedendo ? Perché si stava irritando ? Lewin era libero di fare ciò che voleva, o no ?
Alina sospirò. Poi sorrise. Chissà, forse al posto di Lewin anche lei sarebbe andata con la donna. O meglio, con un uomo.
Già, ma perché allora non andava con un uomo ? Tutto sommato era già da qualche mese che non andava con qualcuno.
Si guardò un attimo intorno nella sala, osservando i presenti e poi scuotendo il capo con disgusto. No, assolutamente no. Neanche uno che valesse la pena di prendere in considerazione. Neanche uno lontanamente paragonabile a Lewin.
Ma cosa stava pensando ? Paragonabile a Lewin !! E da quando in qua Lewin era diventato un termine di paragone ??!!
Alina scoppiò a ridere da sola: due litri di birra e la pipa stavano evidentemente avendo il loro effetto di lei. Meglio dormirci sopra.
La donna si alzò dalla sedia e si rivolse ad una delle cameriere, facendosi assegnare una stanza. Cinque minuti dopo, dormiva già profondamente.* * *
Il giorno dopo, poco prima dell'alba, Alina era già in piedi. Indossata l'armatura, scese al piano inferiore ed uscì poi nel cortile della locanda. Avvicinandosi ai cavalli, raccolse le borse che aveva lasciato il giorno prima e le assicurò alla sella. Vicino al cavallo di Lewin vi erano le borse del Mago, ed Alina notò che, sull'erba accanto ad una di queste, si trovava il bastone nero di Lewin. Va bene che Namur non sembrava esattamente un paese di ladri, ma lasciare incustodito un oggetto così prezioso non sembrava una cosa saggia. Il cuoio nero, quasi certamente umano, mandava riflessi sinistri alla luce della fiaccola ed Alina, spinta dalla curiosità, si chinò per raccogliere il bastone.
Stranamente non riuscì a sollevarlo. Lasciata quindi la fiaccola appoggiata alla parete, riprovò con entrambe le mani.
Un istante dopo, un lampo luminoso l'accecò e la donna si sentì sbalzata all'indietro. In quel breve attimo in cui rimase temporaneamente abbagliata, Alina ebbe l'impressione di scorgere nella luce abbagliante una figura femminile, bionda e dalla carnagione scura, che si contorceva tormentosamente tra le fiamme di un grande rogo. La visione subito scomparve e la donna si rialzò, con la testa un po' intontita.
Il bastone giaceva a terra esattamente nella stessa posizione, e nulla sembrava confermare che ciò che aveva appena provato fosse realmente accaduto. Nulla, a meno di …
Guardando le proprie mani, coperte da pesanti guanti ottenuti con una fitta rete di lamine d'acciaio, si accorse che erano completamente anneriti, là dove aveva toccato il bastone. Ci sarebbe voluto un accurato lavoro di pulizia, per eliminare le tracce del misterioso fulmine.
Scuotendo la testa, Alina ritornò nella locanda e si fece servire un pasto leggero. Una volta terminato notò che il sole era già sorto, e decise che era ora di dare la sveglia al Mago. Si fece indicare la stanza della padrona, la raggiunse e bussò con il guanto d'acciaio.
Bussò nuovamente, e questa volta la porta si aprì. Lewin, con solamente i pantaloni indosso e con gli stivali e la tunica in mano, le passò davanti senza una parola e richiuse la porta.
Alina fece in tempo ad intravedere alla debole luce del braciere acceso ai piedi del letto la donna stesa sopra le lenzuola, ancora addormentata.
Era in effetti bella, di quella bellezza che piace agli uomini, quella bellezza femminile che, in un certo senso, a lei mancava anche per libera scelta.
Lewin si era intanto diretto verso la scala, fermandosi per indossare la tunica e gli stivali: "Scusami, sono in ritardo" - furono le sue uniche parole. Dopo aver mangiato qualcosa, anche il Mago uscì per sistemare il suo equipaggiamento. Alina era già a cavallo quando sopraggiunse uno dei soldati della piccola guarnigione di Namur, quello che li avrebbe accompagnati fino all'inizio dei ghiacciai e che avrebbe riportato i loro cavalli, ormai inutili, al villaggio.
Lewin era quasi pronto; da ultimo, si chinò per raccogliere il bastone ma, dopo averlo preso, si fermò immobile. I suoi occhi si fissarono su Alina, o meglio sui guanti di Alina, ancora anneriti.
La donna si sentì in dovere di tentare delle scuse: " Mi sembrava un oggetto troppo importante per lasciarlo incustodito… pensavo di metterlo al sicuro quando …".
" Non ha importanza. Hai rischiato, Alina. Se non avessi avuto i guanti dell'armatura, avresti potuto perdere le mani. Sarebbe stata anche colpa mia… avrei dovuto avvertirti".
Alina restò stupefatta dalla trasformazione del Mago: Lewin si era alzato sereno e rilassato, ma dopo aver saputo ciò che era accaduto era diventato improvvisamente cupo e pensieroso, quasi minaccioso.
Un cattivo auspicio, per il difficile viaggio che stavano per intraprendere.
Montato a cavallo, il Mago lo spronò e si allontanò, senza neanche aspettare gli altri.* * *
Molte miglia, centinaia e centinaia, più a Nord, la breve estate aveva da tempo lasciato il posto ad un autunno solo leggermente meno freddo e tempestoso dell'inverno. Lungo i margini meridionali dei Monti Imani, la grande catena montuosa che segnava i confini settentrionali delle Terre Conosciute, la natura era così aspra che le ripide vallate erano pressochè disabitate. Solo qualche fortezza ospitava sparuti gruppi di abitanti, più che altro per sorvegliare le miniere imperiali di oro e di argento nei periodi in cui i lavori di estrazione e trasporto dei metalli erano impediti.
Ma la fortezza nera che si stagliava su uno dei picchi più irti dell'intera catena non era abitata per sorvegliare alcuna miniera. In realtà, gli abitanti umani erano veramente pochi anche se, insieme a loro, vi erano altri abitanti, non umani.
In una delle torri, quella rivolta più a nord, una luce segnalava la presenza di qualcuno proprio nella cella più alta della torre.
Quel qualcuno era un uomo vestito di grigio, con barba e capelli neri, seduto su di una sedia dall'alto schienale davanti ad un massiccio tavolo di legno molto antico.
Sul tavolo figurava un vecchissimo volume, dalle ingiallite pagine di pergamena, nel quale con i sinuosi caratteri dell'Adalgari si parlava del potere dell'uomo sui Demoni.
L'uomo in realtà conosceva già da molto tempo ciò che era contenuto nel Libro, ed anche molto di più. Ma essere venuto per caso in possesso di un antico Libro redatto dai Maestri dei Maestri dei suoi Maestri era per lui motivo di intima soddisfazione.
La soddisfazione per il possesso di un oggetto di valore inestimabile, però, era mitigata dal disappunto per gli ultimi sviluppi dei suoi piani.
Aveva lavorato molti anni per arrivare fino all'Imperatore e guadagnarsi la sua fiducia. Poi aveva fatto scattare il suo piano. Era riuscito a ritrovare le tombe di alcuni Demoni Superiori e li aveva risvegliati. Non era stato facile controllare più di un Demone, ma il suo Maestro lo aveva addestrato bene, prima che lui lo uccidesse. Non ne aveva fatto solamente un Druido, ma un Signore dei Demoni Superiori, uno dei Druidi eletti. In realtà non sapeva più se considerarsi ancora un Druido. Di certo un altro Druido non lo avrebbe più considerato tale, dopo l'assassinio del suo stesso Maestro, ma ciò per lui non aveva alcuna importanza.
L'Imperatore era rimasto molto impressionato dalla vista dei Demoni alati. Presto lo avrebbe considerato il suo principale collaboratore, il suo uomo di maggior fiducia, scavalcando la fitta schiera di nobili inutili e generali incapaci. A quel punto, un "incidente" all'Imperatore gli avrebbe lasciato libera la strada per il potere sull'intero Impero di Argan.
Aveva commesso un solo piccolo errore, uno stupido piccolo errore: aveva promesso in anticipo all'Imperatore la testa del suo mortale nemico, il Sovrano del regno di Dremlund. Aveva venduto la pelle dell'orso prima di averlo ucciso. L'errore però non sarebbe stato un errore, se non fosse comparso dal nulla quel Druido. Nonostante tutti gli sforzi di quei Paladini, era stato lui la vera causa dell'insuccesso nel palazzo reale di Esperia, ed ora l'Imperatore già gli chiedeva quanto tempo gli sarebbe occorso per mantenere la sua promessa, ed in breve tempo gli sarebbe venuto il dubbio, o gli sarebbe stato suggerito dai suoi nobili, se questi Demoni fossero veramente invincibili.
Doveva però aspettarselo, si ripetè. Il suo mortale nemico, quello che sin dall'inizio non aveva voluto che lui diventasse un Druido, e che lo avrebbe impedito se non fosse stato per l'opposizione del suo Maestro, non se ne sarebbe rimasto con le mani in mano. Era troppo vecchio per contrastare lui direttamente, ma aveva trovato ed addestrato un uomo pericoloso.
Talamor si chiamava quest'uomo, Lewin Talamor, gli avevano riferito le sue due spie presso la corte reale. Quelle stesse spie gli avevano riferito che ora Re Pallador era introvabile.
Era forte, Talamor, forte e pericoloso. Chissà come, il suo acerrimo rivale aveva trovato ed addestrato non soltanto un Druido, Ma un Signore dei Demoni inferiori, un Signore dei Lupi.
Cosa ancora più fastidiosa, Talamor era il possessore di una Spada Nera. Ricordava ancora il combattimento nel palazzo reale di Esperia, vissuto attraverso gli occhi e le menti dei Demoni che aveva lanciato all'attacco e con cui era stato in contatto mentale fino alla morte. Talamor impugnava una mortale Spada Nera, mortale per qualsiasi essere vivente nell'Universo.
Poco male, questo avrebbe reso ancor più avvincente la sfida. Talamor era giovane, forse troppo per la missione che gli era stata affidata e per il potere che si trovava tra le sue mani. Molti informatori imperiali erano attivamente al lavoro nel Regno, e pattuglie di esploratori controllavano i confini e si stavano profondamente spingendo all'interno dei territori reali: presto avrebbe avuto notizie sulla posizione di Re Pallador e, con un po' di fortuna, anche su quella di Talamor.
L'uomo si alzò, sollevando lo sguardo assente dal Libro a ciò che si trovava sul tavolo immediatamente dietro di esso. L'uomo osservò assorto il lungo bastone nero, e ripensò all'anima da lungo tempo in esso imprigionata, per libera scelta, tra mille tormenti. Per uno scopo solo: consentire ad un altro essere umano di disporre del tipo di arma più potente dell'intero Universo.
L'uomo stava contemplando un'altra Spada Nera, quella con cui aveva ucciso il suo Maestro.* * *